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da Lost
Qual è la cosa che vi appassiona di più? La vostra passione più grande? E perché? Cosa vi trasmette? Come vi fa sentire?
16 novembre 2012
Categoria: Domande
da Wanda
Sciare. Mi fa stare bene con me stessa
18 novembre 2012
da Nichilista
La mia non è una passione, ma una missione, aiutare i carcerati ed i condannati a morte. Perché? Nella vita tutti sbagliamo, ma lo Stato non ha nessun diritto di decidere della nostra vita. Preston Hughes III è stato giustiziato due giorni fa. Era completamente innocente, e prima di morire, ha detto a sua madre ed a sua sorella: "Voi sapete che sono innocente. Continuate a lottare per dimostrare la mia innocenza, vi amo".
E poi si è addormentato, per sempre.
La mamma, che era seduta nella stanza dei testimoni vicino al vetro che si affaccia sulla sala delle esecuzioni, ha urlato: 'Il mio bambino... Non ho potuto toccarlo per 23 anni'. Già di per se la pena di morte è un atto disumano che esula da qualsiasi concetto di giustizia.
La cosa che mi sconvolge di più, è ciò che lo Stato volontariamente compie, prima di condannare a morte una persona.
Non consentire ad una madre di toccare il proprio figlio per più di 23 anni è la forma di violenza più infima, perché viene perpetrata dallo Stato!!!!
Spetta a tutti noi, a noi che lottiamo affinché questa barbarie finisca per sempre, a noi che lottiamo affinché trionfi la giustizia, che questo grido di dolore non rimanga inascoltato, anzi, deve uscire dalle nostre coscienze, e farlo diventare ancora più forte.
Ora Preston è un vero Angelo, è nella braccia di Dio, e ci proteggerà tutti dall’alto dei cieli.
Continuiamo a lottare, a non arrenderci, a non pensare che la pena di morte non verrà abolita, verrà abolita, io ci credo.
Nonostante dopo l’elezione di Obama, in California hanno votato contro l’abolizione della pena di morte.
Il mio AMORE VERO ED UNICO rinchiuso nello stesso braccio della morte di Preston, non ha mai avuto amici Americani, mi chiedo che cosa sappiano gli Americani della pena di morte.
Come mai noi in Europa, non la consideriamo nella maggior parte dei casi, giustizia?
I carcerati in Italia vivono in condizioni disumane. In un carcere in cui possono essere detenute 1300 persone, in realtà ce ne sono 2200.
In inverno muoiono di freddo, in estate di caldo.
Un detenuto viene trattato come un appestato, capisco perfettamente, che chi commette un reato gravissimo come l'omicidio, infonda nell'immaginario popolare la vendetta, e quindi merita di marcire in galera, ma io sono convinta, che anche il peggior criminale possa essere recuperato e farlo diventare laddove sia possibile una persona migliore.
Lotto per questo, per i diritti UMANI.
Come ha scritto un detunuto, il carcere è come un'autostrada chiunque ci potrebbe passare.
18 novembre 2012
da fiordaliso
La mia grande passione è la lettura.Ho iniziato a leggere a circa 8 anni di mia spontanea volontà e da lì non ho più smesso...mi trasmette pace, conoscenze e mi ha fatto scoprire un mondo nuovo coinvolgente e bellissimo.
18 novembre 2012
da Andrea
@lost:tralasciando il mio assenso o meno alla pena di morte, quello che non sopporto è che per mantenere i detenuti in carcere ci deve pensare lo stato...quindi noi.Perche non li fanno lavorare gratis(cosi si pagano vitto e alloggio)come ogni essere umano di questa terra?Si puo diventare migliori anche lavorando...
20 novembre 2012
da Arcobaleno
A me piace stare con i bambini. Mi piace ascoltarli, osservarli, farli giocare, sentirli cantare...
Loro imparano da me ma anch'io imparo moltissimo da loro. Con la loro semplicità basta una sola parola per farmi dimenticare tutte lo cose brutte.
20 novembre 2012
da Nichilista
Non è proprio come affermi tu Lost o Andrea, non ho ben capito che mi abbia risposto.
Spalano la neve, sbiancano le guglie del Duomo di Milano, realizzano costumi per compagnie teatrali, divise per i bambini delle scuole. Costruiscono oggetti in legno, realizzano articoli di pelletteria ecologica, riparano memorie informatiche, preparano pane, gelati, biscotti e panettoni, rispondono al telefono, e coltivano ortaggi. Sono lavori svolti dai detenuti delle carceri italiane. Non tutti, ovviamente, ma da quelli che vogliono rimettersi in gioco, darsi un nuovo ruolo nella società, apprendere un mestiere da che può essere un’ancora di salvezza quando usciranno di prigione. Se la situazione nelle carceri esplode, per sovraffollamento, per incuria delle istituzioni, per disinteresse dei cittadini che su questo tema non sembrano abbiano voglia di intraprendere battaglie civili, esiste però un mondo che crede nella riabilitazione dei carcerati attraverso il lavoro. E gli esempi di successo non mancano. Anzi, sono la grande maggioranza. In genere, infatti, l’idea imprenditoriale che nasce all’interno della casa circondariale viene “adottata” dal privato sociale (associazioni, cooperative, consorzi) e poi proposta alla direzione dell’istituto penitenziario ch l’approva e seleziona i detenuti che per talento o inclinazione rispondono ai profili richiesti. Per gli impieghi da svolgere all’esterno del carcere (raccolta di rifiuti o manutenzione delle aree verdi) è necessaria l’autorizzazione del giudice di sorveglianza che deve approvare l’ipotesi di un percorso riabilitativo fuori dal carcere. I detenuti a quel punto sono impiegati a tutti gli effetti: vengono formati, hanno un orario di lavoro, ricevono uno stipendio.
«Si tratta di attività che hanno un’incalcolabile valenza sociale», sottolinea il provveditore alle carceri della Lombardia Luigi Pagano. «I detenuti lavoratori hanno modo di mettere al servizio della comunità proprie conoscenze o di apprenderne di nuove, sviluppare lavoro in team, sentirsi utili e risparmiare i guadagni che, una volta usciti dal carcere, aiuteranno a rifarsi una vita». Il successo di queste esperienze, insomma, è da dividere tra chi le ha promosse e chi le realizza mentre a guadagnarci è soprattutto la società che ritrova un proprio componente pronto per dare il proprio contributo.
Uno dei casi più interessanti di lavoro in carcere riguarda la pluripremiata sartoria del carcere di San Vittore di Milano. «Da oltre 15 anni», racconta la direttrice Gloria Manzelli, «la cooperativa Alice che oggi conta sei detenute, gestisce un laboratorio di sartoria che nel corso degli anni ha realizzato abiti di scena per i teatri la Scala e il Regio di Parma, per trasmissioni Tv come Giochi senza frontiere e Veline e alcuni spot. L’ultima commessa è arrivata dal Ministero dell’Istruzione che ha ordinato una partita di grembiuli per una scuola elementare di Segrate». Di recente inoltre le sarte di Alice sono state coinvolte in una joint venture con Ecolab, l’omologa cooperativa del carcere della vicina Opera e hanno dato vita al marchio Gatti Galeotti che ha realizzato accessori in ecopelle per il gruppo Armani. Oggi, Gatti Galeotti è orientata verso la produzione di oggetti in Pvc riciclato che sono stati eletti a gadget aziendali dagli enti provinciali di La Spezia e Monza Brianza, e dalla Banca Popolare di Milano, dalle organizzazioni sindacali delle province Modena, Venezia e Roma, dagli enti museali Palazzo ducale di Genova e dal Museo della scienza e della teconica di Milano.
Un altro marchio noto nel settore moda è Codice a Sbarre, una linea di abbigliamento ispirata alle divise dei detenuti, realizzata nel carcere di Vercelli. Il prodotto cult (il pigiama “Special edition” a righe) nel 2008 è arrivato a solcare le passerelle milanesi. Mentre quasi paradossale è ciò che è avvenuto a Bollate dove le detenute hanno confezionato le toghe per il giudice Paolo Ielo e altri 15 magistrati. L’altro settore nel quale i detenuti italiani dimostrano di poter dare molto è l’alimentare. In questo caso l’esperienza più interessante riguarda i famosi “Dolci di Giotto”, prodotti dolciari realizzati da una ventina di detenuti della casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Qui si preparano panettoni, colombe, veneziane, biscotti vari, e la Noce del santo, un dolce dedicato a Sant’Antonio che fa parte della storia gastronomica padovana. Il panettone, cavallo di battaglia del consorzio, è stato addirittura insignito dall’Accademia Italiana della Cucina con il Piatto d’Argento e premiato dal Gambero Rosso. Per le feste di Natale appena concluse venti detenuti pasticcieri hanno sfornato 13 mila chili di panettone. Ma nel carcere di Padova si lavora a ciclo continuo: nel luglio scorso i Dolci di Giotto hanno deliziato i palati dei grandi della Terra all’Aquila per il G8.
Tra le nuove iniziative l’inaugurazione del birrificio gestito dalla cooperativa sociale “Pausa Cafè”, all’interno del carcere Rodolfo Morandi di Saluzzo (Cn), che con una produzione di 10 ettolitri al giorno (circa 150 mila bottiglie l’anno), dà lavoro a tre detenuti. Poi ci sono i servizi. A parte il call center di Bollate, che impiega 75 detenuti e lavora anche per conto della Telecom, entro il 2015 si stima che tra 200 e 400 detenuti saranno arruolati per attività collegate all’Expo come il facchinaggio, il call center, le pulizie.
Belle storie che dimostrano che esiste una “forza lavoro” ancora poco, troppo poco utilizzata. Infatti i mestieri dietro le sbarre impiegano solo l’1% della popolazione carceraria, contano giri d’affari di poche centinaia di migliaia di euro e sono concentrati prevalentemente a nord. Al sud, nelle aree cioè nelle quali sarebbero ancora più urgenti, questo tipo di esperienze sono praticamente assenti. Ma la strada per la riabilitazione di chi è in carcere è ormai tracciata. Passa per il lavoro.
20 novembre 2012
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