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da Elena
Annuì di nuovo e la lastra scivolò verso di me, divenne un lenzuolo macchiato si sangue che avvolgeva un corpo. Il tuo corpo. Si distingueva bene la sagoma della testa, delle mani incrociate sul petto, dei piedi. Sollevarono il lenzuolo e ti vidi. Correvi. Attraversavi la spiaggia e correvi a lunghe falcate di puledro felice, i pantaloni aderivano ai tuoi fianchi robusti, la maglietta si tendeva sulle tue spalle forti, e i capelli fluttuavano lievi in nere ondate di seta. L notte avanti c?eravamo amati per la prima volta in un letto, sposando le nostre due solitudini, e nel pomeriggio eravamo andati sul mare dove l?estate bruciava una gloria di sole, di azzurro. Inondato di sole, di azzurro, strillavi felice: ?I zoì, i zoì! La vita, la vita!?. Mi inginocchiai a guardarti, incredula. Dall?inguine al collo ti avevo aperto per rubarti il cuore, i polmoni, le viscere, poi ricucito con nodi neri che ti deturpavano come scarafaggi aggrappati alla pelle, in fila per divorarti. Un taglio raccapricciante slabbrava il braccio destro dal gomito al polso, un turgore mostruoso deformava la coscia maciullata dal femore infranto. Il volto invece era illeso, solo un?ombra cerulea lo impallidiva alla tempia. Ti chiamai con timidezza, ti toccai con esitazione. Irrigidito nell?immobilità altera e sdegnosa dei morti, respingevi con superbia ogni parola e ogni gesto d?amore: bisognava vincere la paura di offenderti per accarezzare la gelida fronte, le gelide guance, gli ispidi baffi coperti di brina. La vinsi, per scaldarti un po?. Ma era lo stesso che voler scaldare una statua di marmo, di te restava solo una statua di marmo con le forme i lineamenti e il ricordo di ciò che eri stato fino a diciassette ore prima, e un furore impotente mi trafisse, una certezza che aveva il sapore dell?odio: non ti avevano ucciso per caso, non ti avevano ucciso per sbaglio, ti avevano ucciso perché tu non disturbassi più. Mi alzai. Qualcuno ti ricoprì con il lenzuolo e dette una pedata alla lastra che frusciando scivolò di nuovo nel buio. Lo sportello si chiuse di nuovo su di te, con un?altra ventata di ghiaccio, poi un tonfo.
Fuori era notte. (... ) In via Kolokotroni c?era la tua poesia: ?La fine verrà nel modo in cui vogliono coloro che hanno il potere?. C?erano le parole di Socrate: ?E? giunta l?ora di andare. Ciascuno di noi va per la propria strada: io a morire, voi a vivere. Che cosa sia meglio Iddio solo lo sa?. C?era il dolore che finalmente esplode in un urlo di bestia ferita. C?era la fatica di vivere e la promessa da mantenere. ?Lo scriverai tu per me, promettilo!?. ?Prometto.? C?era l?attesa del 5 maggio, il giorno fissato pei funerali. ?Ci vediamo il cinque maggio. Staremo insieme il cinque maggio?. C?era l?agonia del mattino in cui sarei tornata all?obitorio per vestirti, scambiare una seconda volta gli anelli..
Un uomo - Oriana Fallaci
1 aprile 2007
Categoria: Frasi di libri
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