Perchè il nostro destino era bruciare insieme. Eravamo così lontani. Quasi paralleli l'un l'altro.
Eppure quando la distanza avrebbe ostacolato il nostro rapporto?
Quanto quei fottutissimi chilometri e chilomentri avrebbe disegnato la nostra fine?
Lui laggiù. Io qua.
Lui con i suoi amici. Io con i miei.
Lui con le sue amiche. Ed io con la gelosia che stringevo forte tra i pugni, quasi come per annientarla.
Sai? mi dispiace, perchè quando mi dicevi : lui è la, che forse passa gli attimi di questi giorni con un'altra, che non dedica più di 2 minuti al tuo pensiero, io ti credevo. Ebbene si, la mia amica mi stava aprendo gli occhi e vivemo quei giorni con un nero malessero. Qualche mese dopo scendemmo per l'Italia con l'intento di raggiungere a sorpresa quello che, IPOTETICAMENTE, fosse il mio ragazzo. Era li, in spiaggia. Baciava il sole in viso, e avrei voluto poter rincarnare quei raggi che sebbene fiochi e scialbi, accarezzavano il suo viso e tra un bacino e l'altro arrossivano le sue guancie. Vedo la mia amica correre forte ed abbracciarlo, e allora penso.. Non m'aveva mai parlato di tutto questo affetto, quando: Mi crolla il mondo, BAAAAM! Perchè le loro labbra si erano sfiorate? Perchè? Perché? PERCHEEEE'? Ferma, immobile, sulla sabbia che avrei voluto sprofondasse. Trasudavo rabbia e rancore. Non sapevo che fare. Nel mortale silenzio, sentii solo la sua terribile voce sussurrare a quella che azzardavo chiamare mia amica: T'avevo detto di parlargliene.
Queste le ultime parole. Corsi alla stazione, inseguita da loro che invano cercavano di farmi ragionare. Sapevo che fuggire era sinonimo di sbagliare. Sapevo che scendere all'insaputa dei miei genitori, nonostando me lo avessero severamente proibito era una sbaglio. Sapevo che avrei dovuto passare il tempo in ospedale con mio babbo, sebbene i medici dicevano non fosse grave la stua situazione. Sapevo che era stato una sbaglio diventare sua amica. Sapevo fosse uno sbaglio non aver lasciato loro neanche sospirare una parola di giustificazione. Preso il primo treno diretto nella mia città, passai 6 ore con l'mp3 che uccideva le mie orecchie, quasi come le grida che avrei voluto liberare. Il mio telefono squillava. Privato, io non rispondevo, sapevo fossero loro. E inevece mi sbagliavo. Era l'ospedale. Mentre io ero in treno, mio babbo moriva.
9 aprile 2007
Categoria: Drammatiche