Solitudine

da Auanagana Bob per SentirsiSoli

Entriamo nel mondo della psicanalisi per inquadrare il tema SOLITUDINE.

Nel corso della vita ogni uomo ha provato l?esperienza della solitudine, e quando l?ha confrontata con gli altri si è accorto che non ne esiste una sola.
Ognuno di noi ha un modo proprio di rappresentarsela, di viverla e perché no, d?immaginarsela. Esiste dunque una solitudine diversa per ognuno di noi? Forse sì, spiegarlo non è sempre facile, un tentativo è doveroso.
L?uomo é proteso nel ricercare all?esterno i significati delle cose, non si rende conto che s?allontana sempre più dalla fonte originaria interiore.
Perché parlare, dunque, della solitudine?
Se esiste una spiegazione essa può essere ricondotta alla natura della solitudine: essa tocca profondamente tutti gli uomini, è ineliminabile, ci accompagna per tutta la vita e, soprattutto, perché, per alcuni, i più fortunati, può diventare la strada della ricerca interiore.
Il termine solitudine rimanda alla separazione del nascituro dalla madre con la conseguente perdita di uno stato particolare. La stessa parola solitudine rammenta all?uomo la perdita che ha vissuto, in quanto ne rappresenta l?evento avvenuto. Nessuno può negare che sia un?autentica esperienza di vita vissuta.
L?uomo, oggi come ieri, è solo, con gli anni ha imparato a convivere con la solitudine, ma a quale sacrificio?
La solitudine, nonostante offra all?uomo innumerevoli opportunità per maturare e divenire un soggetto autonomo, è spesso ricettacolo di valenze negative. È una condizione spiacevole, a volte spaventevole, che spesso diventa un nemico da fuggire a qualsiasi costo. Tutto ciò visto come il risultato di un vivere caotico aggravato anche dall?eredità biblica, conseguenza delle azioni peccaminose compiute dall?individuo: perfino Adamo ed Eva perdono il paradiso celeste e sono condannati ad una vita di sofferenze e di dolore. Il dolore della perdita, della separazione.
La solitudine, dunque, esiste prima dell?uomo.
L?ovulo, al momento della fecondazione, è solo. Assunto il patrimonio genetico del partner, le reazioni fisico-chimiche dell?organismo separano l?ovulo dagli altri spermatozoi e lo isolano definitivamente dalla popolazione cellulare materna. È un organismo estraneo che conserva l?eco della madre e del padre. La fecondazione stessa è fautrice di separazione. A partire dalla quattordicesima settimana, l?embrione, che si chiamerà feto, è sperduto nell?oceano del ventre materno, è solo.
In futuro, la nascita, la crescita, l?adultità rievocano la solitudine originaria.
Socialmente, poi, la solitudine la riconosciamo con chiarezza.
Pensiamo ai milioni di bambini abbandonati nel mondo che vagano soli, senza una meta precisa.
I nostri vecchi, quanti sono abbandonati nell?anonima città?
Quante famiglie, sempre più estranei gli uni agli altri, vivono isolate nell?orrore della televisione?
Quanti ragazzi sono soli, nella prigione dorata del loro Walkman?
Quante persone, robotizzate dal lavoro, dalla spada di Damocle del licenziamento, della disoccupazione, sono costrette ad una solitudine forzata?
L?abbandono e dunque la solitudine, non risparmia nessuno. Dio stesso, essendo uno, è solo.

La solitudine presenta moltissime sfaccettature: ve ne sono di forzate, in genere imposte dalle circostanze della vita, quali la prigionia, gli handicap e la malattia, l?isolamento percettivo o l?abbandono di una persona cara.
Vi sono poi solitudini volute e ricercate. Quelle del creativo, dell?asceta o di chi, nella quotidianità, sente il bisogno di ricercare un momento suo, per recuperare le energie disperse nel mondo, per ritrovare quella parte soffocata dall?affanno della vita, quando, invece, non è altro che una fuga dalle situazioni che non riesce a gestire.
Vi sono ancora solitudini imposte dalla società. I mezzi di comunicazione, i mass-media, gli slogan pubblicitari che invitano ad isolarsi, a distinguersi esprimendo modi di vita ?unici? che accentuano l?individualismo. In realtà la meta proposta è solo illusoria, dato che è raggiungibile solo con comportamenti ed oggetti uguali per tutti. Questi messaggi, per loro natura contraddittori, alimentano la fuga e la ricerca di un rifugio che, visto come un luogo d?opposizione all?esterno, limita la crescita e lo sviluppo dell?autonomia individuale.
Le reazioni sono le più disparate e a volte le più paradossali. L?uomo contrappone alla solitudine un mondo costellato da relazioni, disseminato di immagini ed affastellato da azioni. Nel tentativo, perenne, di placare l?immagine della solitudine che si porta addosso come una seconda pelle, si procura le sofferenze e le gioie della vita. Sarà poi la sua natura profonda, o il terreno psicobiologico, a far pendere la bilancia da una parte piuttosto che dall?altra.
Per non ripetere l?esperienza della solitudine, l?uomo è disposto a tutto, anche alla guerra. È disposto addirittura ad abbandonare, per non sentirsi solo, ad uccidere, per non sentirsi morire dentro. Il continuo bisogno di potere, espresso da persone influenti o da intere nazioni, può essere letto come una reazione alla solitudine.
La solitudine contiene, quindi, sia la depressione sia la reazione, sia la fuga sia la ricerca e quando l?uomo riesce a contrapporre la disperazione della vita alla speranza le opere che realizza sono geniali.
La solitudine non essendo solo disperazione è speranza e forza, conquistata nel riconoscimento di una propria individualità. Esiste dunque una felicità nella solitudine.
Cercando d?individuare un percorso, si rende necessario rieducare le persone alla solitudine rendendola uno strumento che permette sia di realizzare un vero incontro, con il proprio sé, sia di far germogliare le emozioni che proviamo, leggiamo, sentiamo, compiamo ed inventiamo, sia di ridare valore al silenzio, come atto preparatorio al comunicare con gli altri.
Mi riferisco alla solitudine feconda che non può prescindere dalla relazione con l?altro, senza scadere in isolamento, poiché condurrebbe nell?estremo soggettivismo, nell?autosufficienza, nel rifiuto dell?altro come diverso da sé. Quest?ultimo aspetto è contrapposto al concetto di autonomia, intesa come capacità di distinguere tra sé e gli altri con chiarezza. La mente, in ogni caso, deve saper trovare da se stessa la propria felicità.
Esistono dei casi in cui l?individuo non può sfuggire alla solitudine: benché la società tenti di deprezzarla, esistono delle condizioni in cui l?esterno impone alle persone la solitudine. In questo caso all?uomo non rimane altro che soccombervi o servirsene. Le segregazioni in celle d?isolamento, le prigionie di guerra, le privazioni o le limitazioni sensoriali, dovute ad esempio a certe malattie (cecità, sordità, interventi chirurgici), sono solo alcuni esempi di solitudini forzate.
In alcuni casi, la solitudine forzata è diventata, per qualche personaggio della storia, la condizione che ha permesso l?espressione della fantasia. La creatività ha avuto l?opportunità di esprimersi, tant?è che alcune delle più grandi espressioni artistiche sono nate in condizioni d?isolamento. Dostoevskij, trovando in sé risorse spirituali che gli permisero di sopportare la prigionia, scrisse memorabili opere. Beethoven, la cui sordità l'ha portato ad isolarsi dal mondo, ha potuto sviluppare una grande sensibilità interiore, le sue opere più belle hanno visto la luce nel silenzio.
La creatività, come modo per esprimere un mondo interno, non è solo prerogativa degli artisti, si può ritrovarla negli hobbies, talora unici, delle persone comuni, come mezzo per esprimere le proprie attitudini. Sono casi in cui ?dal fango è potuto nascere un fiore di loto?.
Si parla molto del desiderio e della paura della solitudine, poco della capacità d?essere soli. Durante il nostro sviluppo psicofisico, se non abbiamo subito dei traumi gravi, dall?infanzia ad oggi, abbiamo sperimentato, magari gradualmente, un essere soli anche in presenza dell?altro. La fiducia, costruita dentro di noi negli anni della crescita, ci ha permesso di controllare la solitudine di riconoscere i sentimenti che animano la parte profonda della nostra mente e di esprimerli.
La solitudine diviene, così, condizione privilegiata e da ricercarsi per aiutare l?individuo ad integrare i pensieri interni con i sentimenti. La meditazione, la preghiera e, a livello inconscio, il sonno operano questa trasformazione. Costruire un momento di solitudine e di silenzio aiuta la persona a ritrovare se stesso nell?oceano della vita. L?anelito di questo momento permette l?abbandono a qualcosa o qualcuno sopra di lui, in grado di dare significato alla vita, alle emozioni quotidiane ed al silenzio ricercato.
Il saper star soli, rappresenta una preziosa risorsa. Permette agli uomini di entrare in contatto con i propri sentimenti più intimi, di riorganizzare le idee, di mutare atteggiamento. In alcuni casi, persino l?isolamento forzato può rappresentare un incentivo alla crescita dell?immaginazione creativa.
Esiste ancora una forma di solitudine, quella più semplice, di tutti i giorni, che si realizza come via di fuga dalla tensione della vita quotidiana. Alcune persone isolandosi riescono ad evitare un leggero stato di depressione o di apatia ed investono in creatività.
Si può arrivare ad affermare che questo tipo d?investimento permette una vera e propria fuga dalla malattia mentale. Osservate le persone dedite prevalentemente al lavoro, sembra che non ne possano fare a meno. A volte si ha addirittura l?impressione che siano drogate. Non vi è da stupirsi se appaiono avide di lavoro. Per loro, forse, l?incapacità di reggere le emozioni di una relazione umana alla pari, le spinge alla solitudine. Spesso queste persone appaiono fredde, distaccate e poco accattivanti, ma è solo una conseguenza, volta a mascherare la debolezza e la vulnerabilità verso gli altri.
Quindi dobbiamo riflettere sulla nostra situazione e fare una analisi introspettiva atta a inquadrare la nostra situazione e vedere quanto é dipeso da noi questo status-quo!
Loving Bob

31 gennaio 2008 - Roma

Categoria: Solitudine

da venere

La peggior solitudine di tutta la mia vita l'ho provata quando è piombato dentro di me un dolore che nessuno poteva capire...era come un vuoto terribile, una voragine di angosce e paure e allo stesso tempo un peso enorme come un masso che mi opprimeva; uscivo, avevo delle amiche, andavo in palestra, andavo a lavorare, ma dentro di me erano solo macerie... queste attività erano solo passeggere distrazioni momentanee, ma dentro di me piangevo sempre, e appena mi ritrovavo sola le lacrime uscivano anche dagli occhi, ma solo da sola per non farmi vedere...tutto questo per me non è stato arricchimento, è stato solo un enorme dolore che nessuno poteva capire e proprio perchè non poteva uscire diventava solitudine disperata. Lo "stare da soli" nel senso di passare del tempo da soli con se stessi a svolgere attività o ad "ascoltare" il silenzio, per me non è solitudine (o almeno, non come la intendo io), ma un modo per arricchirsi interiormente grazie ad una maggiore conoscenza di se stessi, allora in questo senso lo stare soli ogni tanto e nella giusta misura può anche fare bene, ma nel senso in cui l'ho provata io posso solo sperare di non riprovarla mai più, perchè fa molto male...il dolore nel presente per fortuna è passato, ma il ricordo di quello che ho passato è ancora vivo e non lo dimenticherò mai.

31 gennaio 2008

da SeM

wow..! complimenti... ho letto molte tue "dediche" o comunque ho visto che scrivi parecchio su questoo sito... e devo dire che quasi sempre scrivi cose che lasciano di stucco...ad esempio questoa cosa ella solitudine... beh hai trovato un modo x esprimerla che non si poteva fare di meglio... non so se l'hai letto da qlche parte oppure l'hai scritto di tua spontanea volonta... ma comunque complimenti veramente perchèe è un pensiero giusto!...un saluto..!

31 gennaio 2008

da giada

scusa, ma da dove l'hai preso?
mi sembra di averlo già letto da qualche parte

1 febbraio 2008

da Auanagana Bob

E' un trattato di psicanalisi, una semplice tesi, l'espansione é la mia.
Ha importanza?
Il contenuto é di notevole aiuto per tutti noi, per districarsi nell'immenso labirinto che é la nostra mente... Bye

1 febbraio 2008

da moon

se è farina del tuo sacco non posso che complimentarti..se non lo sei già, saresti 1ottimo/a psicologo clinico!ho letto attentamente tutto..e non posso che darti ragione..questo fa capire come la solitudine non sia una cosa banale, lontano da noi..ma qualcosa che FA PARTE di noi!proprio oggi sono stata ad un seminario..l'argomento trattato era la disabilità!e nel sentir parlare tutte quelle persone mi sono sentita davvero in colpa e ingrata..perché io sono triste, depressa,angosciata, ansiosa e chi più ne ha più ne metta..mentre le persone che noi chiamiamo "DISABILI"sono i veri normali!la felicità quindi non sta nell'avere un bel corpo, non sta nel camminare, nell'essere alla moda, nell'avere il cellulare all'ultima moda..quindi dove risiede!?sicuramente in qualcosa che non si può comprare..in qualcosa che è fondamentale per noi..allora mi chiedo quale sia la differenza tra me e e loro...e la differenza è una, come dici tu"L?uomo é proteso nel ricercare all?esterno i significati delle cose, non si rende conto che s?allontana sempre più dalla fonte originaria interiore".C'è un limite che non bisogna varcare..ma oggi è quasi impossibile!purtroppo è una cosa difficile da ammettere e accettare...la solitudine comunque sia è sempre qualcosa che porta alla sofferenza, come dice un detto"soli nemmeno in paradiso è buono"!!certo poi è possibile trarre qualcosa di positivo...ma pur sempre un male rimane!e bisognerebbe informare di più!

1 febbraio 2008

da Auanagana Bob

Avvicinarsi al Buddismo e alla teoria della centratura, del coltivare la via di mezzo, l'equilibrio, é di fondamentale aiuto a tutti noi, ciò non significa appartenere poi a un altra religione perché il Buddismo proprio religione non é...
Loving Bob

3 febbraio 2008