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Sopra la testiera del mio letto ho appeso alcune foto di momenti passati. Il soggetto sono quasi sempre io e io solo; ma la prima, la più grande, è un classico ritratto di gruppo della prima superiore, e mi trovo tra compagni e professori.
Anno 1996, mi pare. Alla mia destra c'è un vecchio amico, con cui ci si divertiva a combinare le classiche cialtronate di quei tempi. Si chiamava Giuseppe ed era simpatico. In terza lui fu bocciato e cambiò scuola. Lo rividi qualche anno dopo, per caso, e ci prendemmo una birra assieme. Poi, dopo esserci scambiati nuovamente i numeri, ci siamo salutati, sicuri che non ci saremmo mai più rivisti. Pazienza. Ma non è di lui che mi importa quando guardo la foto.
Alla mia sinistra, con la testa leggermente reclinata, come a dimostrare una presa di distacco verso di me, c'è una ragazza.
E' buffo che la foto ci ritragga vicini, ma la cosa mi fa piacere. Lei è stata la classica, direi perfino banale, prima vera cotta. No, è stato il mio primo amore. Chiaramente represso e non corrisposto, ma proprio per questo più vero. Indelebile perchè non consumato. Struggente perchè non dichiarato.
Ora non mi ricordo neanche più: rammento solo vaghe sensazioni di gioia e dolore misti; quando la vedevo e facevo finta di essere superiore e arrogante per sostenere l'urto della sua presenza. Non fummo mai amici; andammo, ma solo per brve tempo, dal saluto a distanza al bacino sulla guancia. Non sono mai riuscito a essere affabile con le donne che mi piacevano e di cui sapevo già abbastanza da supporre di non poter andare oltre al bacino di saluto. Eppure ogni mattina la scorgevo quando arrivava a scuola, ogni tanto con gli auricolari nelle orecchie. Chissà cosa ascoltava. Non abbiamo mai avuto confidenze. Ma la sognavo come si può sognare quando si hanno 16 anni. Cioè, senza ritegno. Era bellissima. Con il mio cinismo di oggi direi che non era particolarmente intelligente. Ma che importava, era un sogno.
Un giorno andammo in gita in montagna e, avendomi portato la macchina fotografica, ne approfittai per scattarle di nascosto una foto. Era il '98, e mi ricordo che sul pullman del ritorno io mi sedetti accanto a lei e, fingendomi addormentato, le passai leggermente la mano nel lunghi capelli castani. Fu l'unico gesto di tenerezza che riuscii a manifestarle, ma lo feci perchè lei stava chiacchierando e nemmeno se ne accorse.
L'ho vista un'ultima volta anni fa, quando passai sotto casa sua alle tre di notte. Ero in macchine e ricordo che lei arrivò dopo pochi minuti accompagnata dal suo fidanzato. Io l'ho vista da lontano e non ricordo cosa provai. Ora è solo un ricordo e una foto che tutte le mattine rivedo quando mi sveglio. Ma una volta non era così.
E ogni tanto mi rammento di avere anche un'altra foto sua: quella scattatale in montagna. L'ho sempre nel portafoglio.
E' la foto di una che a malapena salutavo. E' una foto rubata, come l'attimo in cui le accarezzai i capelli. E' un'estranea, una con cui non ho mai condiviso niente, o poco. Ogni tanto le do un'occhiata e mi viene una strana malinconia.
E' la foto di Erika. Il mio primo amore.
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