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Mario stabilì il campo di fronte hai nemici. Pompedio, comandante supremo dei Marsi, fece avanzare le truppe. Arrivati però a guardarsi in viso, i soldati dell'uno e dell'altro esercito riconobbero un gran numero di loro amici, parenti, antichi compagni d'armi e infine gente cui erano legati da alleanze familiari.
Una naturale simpatia li spinse dunque a scambiarsi parole amichevoli; si chiamavano per nome e si esortavano a non macchiarsi di sangue dei propri parenti; lasciavano cadere le armi, si tendevano le mani, si abbracciavano con affetto.
Mario, visto questo ondeggiare delle file, avanzò davanti alle schiere; Pompedio fece altrettanto e i due comandanti si misero a chiacchierare amichevolmente.
Mentre essi conversavano a lungo sulla pace e sulla cittadinanza tanto desiderata, i due schiramenti di riempirono di allegria e di speranza e la battaglia si mutò in festa. Con discorsi equilibrati i generali proposero ai soldati un accomodamento e tutti rinunciarono con gioia a un atroce versamento di sangue.
Diodoro Siculo- Una tragedia romana: la Guerra sociale
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