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L'amore che cresce sempre e comunque, nonostante lui non possa più nutrirlo.
Il vuoto informe e illimitato che ho dentro.
La violenza che provo ogni qualvolta sento chiamare il suo nome.
Il suo nome...
Chiamato a voce alta o dolcemente, sussurrato piano mentre lui dormiva al mio fianco e infine urlato, invocato il giorno nefasto della sua morte.
Non ha risposto a quel richiamo..
Non ha riaperto gli occhi..
Non mi ha più chiamata <amore>.
Ed io mi sento piccola e fragile, persa in un mondo che non era come quello che mi era stato promesso.
La vita mi aveva promesso l'amore di Stefano, una casa con lui, mille sogni insieme.
E l'unica cosa che mi ha dato è stata l'immagine di Stefano in una bara buia.
Una bara da cui non riuscivo ad allontanarmi, una bara che non potevo non fissare, una bara che rappresentava l'ultima volta in cui avrei potuto avere almeno la minima impressione di averlo accanto concretamente.
Già sapevo che non mi sarebbe bastato riuscire a sentirlo in me, in ogni respiro, in ogni battito.
E poi, al cimitero, tremare, sudare freddo, sentire la disperazione crescere ad ogni istante, percepire che tutto è andato perduto.
Abbracciare gli altri, parlare,singhiozzare stringendo mani senza volto, stringersi intorno ai suoi amici in piedi come militari rimasti senza il loro comandante, dire frasi senza senso.
Tutto questo, fare tutto questo, senza perdere di vista la sua bara nemmeno per un attimo.
Il mio amore era rinchiuso lì,il mio affetto, il mio cuore.
Come avrei potuto smettere di guardare?
Nemmeno mentre la terra lo inghiottiva abbassavo la sguardo.
"Ti voglio guardare amore mio.Fino all'ultimo secondo che mi è concesso".
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