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Dedica a cui stai rispondendo

È la prima volta che ti scrivo in tanti anni di assenza e mancanza e non so nemmeno dire cosa provo, tanto è strana la sensazione che mi pervade corpo e anima. Scrivere a te adesso è quasi come scrivere a qualcuno che non si conosce e di cui non si sa nulla, ma che al tempo stesso senti di amare in quanto parte di te. Si, perché tu sei in me come io sono in te, anche se spesso l?assenza e i ricordi ormai sbiaditi, mi fanno quasi dimenticare che tu sia mai esistito, quasi facessi parte di una vita che io non ho mai vissuto. È lontanissimo ormai il tempo in cui tu riempivi le mie giornate, in cui il mondo era avvolto da quella luce particolare che ti fa credere come tutto sia possibile, in cui io bambina non avevo altri pensieri che quello di renderti fiero di me. Sono lontani i pomeriggi in cui mi aiutavi a fare i compiti o quelli in cui ce ne stavamo per ore a guardare la tv, lontani i giorni in cui mi portavi con te dappertutto e mi rendevi partecipe della tua vita e delle tue passioni come se fossi stata adulta già da bambina o come se sapessi già allora che adulta non mi avresti mai visto. Lontano è il tempo in cui non avevo paura di niente, ma guardavo ogni cosa con curiosità e un pizzico di sfida perché tu mi avevi insegnato il coraggio, lo stesso che ti ha fatto lottare fino alla fine. Ricordo il modo strano che avevi di chiamarmi, usando quei diminutivi che avevi inventato negli anni nonostante amassi molto il mio nome. Ricordo te che mi aspettavi sulla macchina all?uscita di scuola. Ricordo te che in un ventoso pomeriggio d?estate mi hai detto che presto saresti andato via. Te di cui adesso quasi tutto è andato perduto. Te di cui non ricordo lo sguardo, te di cui il sorriso è svanito tra i meandri della memoria, te di cui il timbro di voce è andato perduto, spazzato via da un forte colpo di vento. Tu che eri la luce dei miei occhi, la persona che più amavo al mondo, l?unico uomo della vita di una bambina. Te di cui non ricordo il modo di parlare, di camminare, né la luce che ti brillava negli occhi.
E fa male sapere che oggi tra mille non saprei riconoscere la tua voce, il tuo profumo, il tocco della tua mano, fa male sapere che il mio amore non ti ha salvato, ma fa ancora più male sapere che tu non avresti mai voluto lasciarci, che hai intrapreso quel viaggio controvoglia, che con le unghie e con i denti hai tentato disperatamente di rimanere attaccato alla vita, che nonostante sapessi cosa ti aspettava continuavi a fare progetti, mi regalavi sogni che ancora adesso voglio realizzare.
Papà, quanto tempo è passato dall?ultima volta che ho pronunciato questa parola, anche il suo suono adesso mi appare sconosciuto, quanta dolcezza e quanto amore si racchiude in queste due sillabe. Papà, ho vissuto due terzi della mia giovane vita senza di te, abituandomi col tempo all?idea che non saresti più tornato, perché negli anni successivi alla tua partenza ogni sera chiedevo al buon Dio di farti tornare, che avevo ancora tanto bisogno di te; non conoscevo il significato della parola morte e non capivo cosa si nascondesse dietro questa parola.
Papà, cosa darei adesso per poterti riabbracciare anche solo per un attimo e ritrovare quella perduta complicità e sentire la tua voce sussurrare che tutto andrà bene.
Papà continua a vivermi ovunque tu sia, ti voglio bene.