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Qualcuno dice che il bullismo non è cosa nuova. Spesso imparentato con il nonnismo, lo abbiamo già vissuto, e non solo a scuola, come vittime o come esecutori materiali o come semplici spettatori. Testimoni o persone informate dei fatti. Per lo più indifferenti.
Insomma, si parlerebbe di fenomeni di vecchia data. Tanto rumore per nulla.
Invece non è così: sul tronco vecchio si sono innestati elementi nuovi ed inquietanti, escrescenze velenose. Forse, Dio non voglia, mutazioni genetiche. Irreversibili?
Una volta, bullismo o nonnismo che fosse, era rito, era tradizione, erano le forche caudine di una crescita che passava anche attraverso lo scontro fisico e la violenza. Feroce sì, sbagliato sì, ma ?leale?, a suo modo, nel rispetto di regole di gruppo codificate. Il ?bullo? si misurava alla pari. Era la ricorrenza di un episodio sentito come necessario, era la trasgressione cercata in vista dell?affermazione di sé, prima della vita adulta, della vita ?normale?. Quando, forse, non devi dimostrare più nulla. Nemmeno a te stesso.
Nelle percosse al down c?è molto di più. O di meno, se vogliamo. Ma la sottrazione, in questo caso, è privazione. Di umanità.
Il gesto è programmato e portato a termine con cinismo e freddezza. Come la risposta meccanica e pronta ad uno stimolo sensorio da video-game. Fatto già tante volte. E non sai, in effetti, se quel video sia finto o vero. Vorresti fosse finto, ma che differenza può fare se sono stati così in tanti a cliccare, a guardare? A ridere anche, e forse a godere. Era comunque uno spettacolo richiesto, gettonato.
Ciò che è cambiato, tra i ragazzi, non è il culto della forza fisica che, semmai, si è potenziato, tra palestre, bicipiti e pettorali bene in vista.
Ciò che è cambiato è la natura e la funzione della forza: né forza di carattere né forza d?animo, tanto meno forza del pensiero e della parola. No, solo forza muscolare e numerica, da branco. Essa serve a prevalere sull?altro, non sulle nostre debolezze. Ciò che conta è il prevalere comunque. E in tempi brevi, facili. Come il successo, che si tenta di raggiungere ad ogni costo.
Quindi si sceglie un bersaglio debole, inferiore, per avere la certezza della vittoria e della sopraffazione.
Quindi si sceglie un bersaglio ?diverso?, per affermare a sue spese un?identità forte e visibile.
Chi, meglio di un down, può prestarsi al ?gioco?? Lui, così mite e buono e ingenuo, al punto da scambiare le prime avvisaglie dell?aggressività per una forma di attenzione.
Ciò che è cambiato, nei ragazzi d?oggi, è il sentimento elementare della compassione. Che non esiste più. Al suo posto, risate sguaiate e calci e insulti.
Così, per gioco.
Ripercorrendo la traccia che dal server arriva fino al computer di chi ha inserito il video sul sito di Google, è stato possibile risalire alla città, una città del nord come tante, alla scuola, una scuola come tante, e identificare gli aggressori, ragazzi e ragazze come tanti, come i nostri figli, i nostri alunni. Ed ora? Me li immagino davanti al magistrato. Stupiti, inconsapevoli. Ebeti.
Cosa fare a chi non ha cuore e mente per sentire e per capire? Come appellarti ai principi di responsabilità e di rispetto in chi non sa cosa siano? Come invocare sentimenti di pietà e di giustizia in chi non li ha mai provati? Come interagire con un encefalogramma piatto?
Come punire?
Ragazzi così non possono essere promossi. Anche nel caso sapessero la matematica o la storia o altro. Il concetto di ?promozione? è un bel concetto, pieno, implica un avanzamento, un miglioramento sulla via non solo dell?apprendimento, ma della formazione e della crescita. Qui c?è solo regressione.
Quindi niente scuola, almeno per un po?. Fermiamoli. Non ne sono degni, non la capiscono, non se la meritano. E del resto, poche sarebbero cinque ore di scuola, a fronte del mare di videofonini, televisione, dvd e videogiochi con cui sono a contatto malamente per il resto della giornata. C?è da (ri)costruire tutto un tessuto umano e civile disgregato e perso. C?è da (ri)trovare sentimenti e commozioni.
Mandiamoli ad aiutare chi è in difficoltà, mettiamoli al loro servizio. Ci sono centri, strutture e persone bisognose di forze giovani. C?è tanto da fare.
Forse, chissà, potranno recuperare. Non gli assurdi debiti scolastici, non un anno di scuola, che tanto non fa la differenza, ma qualcosa di più importante: come il senso di appartenenza ad una comunità di eguali. O, più semplicemente, il senso di appartenenza alla specie umana.
Susanna Tamaro
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