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Ragazzi di 16, 18 o venti anni, gettano bulloni, pietre e bombe carta fuori dallo stadio a Catania. Alcuni sono armati di spranghe e nelle tasche hanno dosi di stupefacenti. La presenza di 1.350 uomini delle forze dell'ordine non ha evitato la morte dell'ispettore Filippo Raciti e il ferimento di 147 persone, di cui 118 appartenenti alle forze dell'ordine. Su 34 persone arrestate nei giorni successivi, 11 sono minorenni.
Come capire tutto questo? Siamo sicuri che vada considerato un fenomeno a se stante, dovuto a pochi giovani squilibrati? Siamo sicuri che si tratta soltanto di tifoseria eccessiva e il fenomeno non vada esteso alla generale crescita di violenza nei giovani?
Eppure le cronache non lasciano dubbi sul dilagare della violenza nei giovani, in particolare nella fascia d'età che va dai 14 ai 25 anni. Stupri, bullismo e altre forme di violenza sono in aumento nelle scuole. In una classe di un istituto alberghiero di Milano, cinque ragazze venivano regolarmente stuprate da altri studenti sedicenni, e le violenze venivano filmate dai telefonini. I giovani si sono difesi dicendo: "era solo un gioco". Non si tratta di un episodio isolato, in altri casi le ragazzine venivano violentate e ricattate con i filmati dei cellulari: "O fai quello che vogliamo o mandiamo il filmato ai tuoi genitori". Gli episodi di bullismo non si contano più (le vittime preferite sono le ragazze e i disabili), a tal punto che il ministro della Pubblica Istruzione ha dovuto prendere "misure" per contrastarlo con sanzioni disciplinari "eque tempestive e proporzionate alla gravità delle azioni compiute". E' stato persino istituito un osservatorio permanente in ogni regione per monitorare il fenomeno del teppismo e del bullismo.
Ma controllare e punire è tutto quello che si può fare? Non sarebbe indispensabile interrogarci su come le nuove generazioni stanno crescendo e sull'origine di tutta questa violenza?
Perché i giovani si comportano in questo modo? L'azione violenta ha acquisito una certa "normalità" per molti di loro, e questo non può non indurci a cercare di capire il sistema in cui questi giovani vivono.
In questi giorni è stato posto l'accento sulla vittima della violenza, Filippo Raciti, e i telegiornali facevano a gara per suscitare commozione. L'attenzione è stata anche posta sulla necessità di rendere il calcio uno sport "normale", da seguire senza correre rischi.
Per quanto si possa, ovviamente, essere vicini alla sofferenza delle famiglie delle vittime e capire l'esigenza di eliminare il problema della violenza dagli stadi, occorre ricordare che per evitare che un problema si ripeta bisogna capire le cause che l'hanno provocato.
Ma se questa violenza non ha nulla a che vedere con lo sport, a cosa è dovuta? E perché le nostre istituzioni e i nostri media informativi non cercano di capirla in maniera più approfondita, al di là delle punizioni e della commozione per le vittime?
Dato che la violenza giovanile dilaga non soltanto negli stadi,: il sistema politico-economico in cui questi giovani sono cresciuti.
I giovani più sensibili e suggestionabili risentono dell'esposizione ad input di tipo violento e volgare, e quando ne hanno l'occasione manifestano comportamenti violenti o asociali. Nella maggior parte dei casi si tratta di ragazzi disoccupati e con un basso livello di istruzione. Ma ci sono anche i giovani di famiglie agiate, vestiti alla moda e con oggetti firmati da esibire. In tutti i casi, si tratta di giovani cresciuti in un mondo basato sul consumo e sulla creazione di falsi bisogni. Un mondo in cui la legalità vale soltanto per alcuni, e in cui la violenza assume spesso un ambiguo significato di vincita del più forte sul più debole. In cui la competizione diviene prevaricazione attraverso la forza. Un mondo in cui sempre più spesso l'empatia e la sensibilità vengono atrofizzate dal rafforzamento degli impulsi distruttivi. La desensibilizzazione empatica induce gruppi di giovani a divertirsi gettando sassi dai cavalcavia, seviziando animali o stuprando coetanee.
I media, specie la Tv e la radio, stimolano sempre più alla violenza. I videogiochi, di cui queste generazioni fanno largo uso, provocano uno stato di eccitazione che alza il livello di aggressività. Come ha spiegato una ricerca pubblicata sul Journal of Experimental Social Psychology, i videogiochi a trama violenta producono una "desensibilizzazione" ai contenuti violenti, cioè "una riduzione delle emozioni in reazione ad atti violenti reali". Ciò permette di abbattere le barriere empatiche ed emozionali che impediscono il comportamento violento. Gli autori della ricerca sostengono che i videogiochi sono una "macchina per la desensibilizzazione sistematica dell'individuo".
A ciò va aggiunto l'inquinamento mentale che i ragazzi subiscono attraverso i programmi televisivi e la pubblicità. Spiega il professore di Pediatria all'Università di Pisa, Giuseppe Saggese:
Disordini alimentari, abitudine a fumo o alcol, vari tipi di droghe, inizio dell'attività sessuale e anche bullismo sono direttamente proporzionali alle ore passate da piccoli e ragazzi davanti al mezzo televisivo... Il bullismo arriva a far breccia sul 13% dei bambini tra i 9 e gli 11 anni che passano almeno 5 ore al giorno davanti alla televisione. E ancora, nella fascia d'età 11-14 anni, il consumo di alcol (birra, vino o altro) è doppio tra chi resta davanti al video per almeno 3 ore al giorno rispetto ai coetanei che si concedono al massimo un'ora.
I giovani crescono in un sistema pieno di contraddizioni e paradossi: la religione li reprime sessualmente, mentre la Tv e la pubblicità li stimolano; viene loro insegnato che i beni materiali non possono determinare la loro crescita interiore, tuttavia la pubblicità li condiziona a ritenere che il possesso di oggetti si accompagna ad un senso di adeguatezza e di accettazione sociale di cui non possono fare a meno. Il ragazzo si trova dunque a sperimentare un falso senso di soddisfazione attraverso il consumismo, che non eliminerà il vero bisogno di autorealizzazione o di autoespressione.
I mezzi di comunicazione di massa hanno acquisito così tanto potere da condizionare lo stile di vita dei giovani, inducendoli a costruire identità soggettive attraverso modelli con cui identificarsi. I personaggi offerti dal panorama mediatico sono presentati come adeguati e di successo, e l'identificazione con essi può provocare gravi problemi al sé, in quanto il soggetto perde il riferimento alle proprie vere emozioni e aspirazioni, a favore di una personalità frammentata e fittiziamente costruita sulla base dei condizionamenti esterni. Inoltre, questi modelli sono sempre più aggressivi, violenti e cinici. Ad esempio, nei telefilm per adolescenti, come "Geni per caso", i protagonisti ridono cinicamente anche quando uno di loro si trova in difficoltà, oppure utilizzano mezzi teconologici per attuare un controllo onnipotente della realtà. I giovani di oggi sono continuamente bombardati da messaggi che li "disumanizzano", che li privano delle normali emozioni empatiche dirette ai loro simili. L'altro appare sempre come nemico o come avversario. Una realtà ostile da affrontare con ostilità. Come lo scrittore Yves Frémion:
Si presume che il consumatore acquisti l'eterna giovinezza, la potenza o l'energia, la salute... Come nel regime nazista, i devianti da questo modello vengono eliminati dal mondo trasmesso dalla pubblicità: quelli che non assomigliano agli ariani, non sono eterosessuali né in buona salute, non hanno la disinvoltura fornita dal denaro, non sono aggressivi di fronte al mondo, non hanno il fisico conforme; i non produttivi, i contestatori, i pacifisti, i malati, i poveri, i perdenti. Come in ogni propaganda totalitaria, forza e potenza si sprigionano dai muscoli dei bevitori di birra o dagli occhi di ghiaccio dei piloti. La vittoria è onnipresente, che l'eroe corra o rimorchi, piloti o affronti il suo capufficio... la pubblicità gioca soltanto con gli stereotipi e ogni volta per inculcarli ancor di più nel pubblico: stereotipi maschili e femminili, nazionali, rurali, giovanili, di periferia ecc... La pubblicità... alimenta la confusione... quello che non è stato "visto alla Tv" non esiste. E ciò che è stato visto, anche se è falso, viene accettato... Il mondo della pubblicità... funziona come una mafia al servizio dell'ideologia più autoritaria che esista... ci propone una visione maschilista, razzista, colonialista, totalitaria, occidentale ed escludente, favorisce soltanto quelli che ci conducono alla catastrofe... Questa offensiva generalizzata della merce crea carestie, catastrofi ecologiche e sanitarie, disoccupazione ed esclusione.
I messaggi pubblicitari, televisivi e cinematografici sono sempre più spesso messaggi di distruzione, morte e di esaltazione della forza fisica. Questa è diventata la realtà di molti giovani di oggi.
A tutto questo si aggiunge la grave situazione lavorativa. Ormai i giovani assunti con contratti precari sono l?87% contro il 12, 3% assunti a tempo determinato. Una situazione che peggiora nel tempo, e del 75% delle assunzioni di lavoratori lavori precari soltanto 1/3 di loro saranno assunti a tempo indeterminato. La precarizzazione è in aumento: nel 2000 i contratti di lavoro con durata inferiore ai 30 giorni erano il 35% delle assunzioni, nel 2006 sono diventati il 50%. Molti dei lavoratori precari sono costretti anche a subire problemi nei pagamenti dello stipendio. Oltre a non avere tutele sindacali o aziendali, il 30% di loro non percepisce regolarmente (mensilmente) lo stipendio. La disoccupazione è in aumento, e in alcune regioni d'Italia tocca vette del 70%. I giovani disoccupati o precari, sono soggetti ad accumulare una forte rabbia che non sanno come indirizzare contro il sistema, e finiscono per esprimerla contro coetanei, disabili, animali, immigrati, o attraverso la "tifoseria" sportiva.
I nostri politici invocano punizioni e misure repressive contro la violenza giovanile. Queste misure toccano soltanto la punta dell'iceberg, e non affrontano il problema alla radice. L'accento è posto sulle società calcistiche che non attuano i necessari controlli per evitare che i giovani entrino negli stadi con oggetti pericolosi, oppure non elaborano un piano efficace che agisca come deterrente ai comportamenti violenti. Occorre senza dubbio rivedere gli stadi, come avverte l'assessore provinciale allo sport:"Gli impianti italiani sono assolutamente inadeguati e le Amministrazioni comunali che ne sono spesso proprietarie non hanno le possibilità economiche di intervenire per ammodernarli. Credo che sia giunto il momento di ripensare radicalmente il rapporto tra Comuni e società sportive. Le società devono prendersi l'onere di gestire anche la struttura in cui si svolge la loro attività... Per far questo, ovviamente, devono avere una ragionevole prospettiva di rientro dei notevoli investimenti che saranno costrette ad effettuare. Le forme di questo rapporto potranno essere le più varie, ma non vedo altre soluzioni che trasferire ai sodalizi professionistici la gestione, anche per lungo tempo, degli impianti con la possibilità di integrarvi strutture polivalenti e servizi che rendano l'operazione economicamente sostenibile".
Oltre a questo, dovrebbe essere messo a punto un piano razionale per impedire che i giovani portino oggetti pericolosi e possano capire che non sarà più possibile esprimere violenza utilizzando la tifoseria calcistica. Un piano razionale è possibile, se realmente si vuole risolvere il problema. Ma si vuole davvero risolvere il problema? Perché, dato che esso esiste da anni, non si è fatto nulla di efficace, anzi, al contrario, si continua ad istigare i giovani alla violenza attraverso la Tv e la radio?
Di sicuro questa violenza risulta altamente funzionale al sistema. Esso, se non offrisse valvole di sfogo asociali e violente, dovrebbe rispondere di parecchi problemi e disagi che attanagliano le nuove generazioni: scuole sempre più scadenti, precariato, disoccupazione, mass media che insabbiano la vera realtà in cui vivono, programmi Tv violenti o scadenti, pubblicità sempre più aggressiva e basata su stimoli sessuali o aggressivi, ecc.
Ci si chiede come mai i politici che trattano la violenza negli stadi non estendono questo problema alla situazione generale della violenza giovanile. Le proposte per risolvere il problema negli stadi sono tutte "esterne" al problema stesso. Si affrontano aspetti reali, ma non si tocca il tema dei gravi disagi che colpiscono i giovani.
Il decreto anti-violenza emanato dal Consiglio straordinario dei ministri, in sintesi, impone:
a - porte chiuse per gli stadi non a norma con il decreto Pisanu. Gli abbonati potranno rientrare non appena saranno installati tornelli e zone di prefiltraggio
b - le società ospitanti non invieranno più blocchi di biglietti per la tifoseria avversaria
c - vietato qualsiasi tipo di rapporto economico, finanziario e lavorativo tra i club e i tifosi
d - inasprimento del DASPO, che ora potrà essere preventivo e applicato anche ai minori
e - inasprimento dei controlli per i soggetti sottoposti a DASPO: oltre all'obbligo di firma i soggetti in questione dovranno fornire prestazioni imposte e utili
f - pene da 5 a 16 anni per violenza e resistenza a pubblico ufficiale
g - reclusione da 6 mesi a 5 anni e un'ammenda da 500 a 2 mila euro con processo per direttissima per chi verrà trovato in possesso di fumogeni, bengala e materiale esplodente.
Oltre a queste misure ci sono anche diversi provvedimenti immediati con disegno di legge:
1 - gestione degli impianti: si dovrà arrivare a stadi di proprietà delle società di calcio
2 - sicurezza: all'esterno dello stadio sarà appannaggio delle forze dell'ordine, dentro solo ed esclusivamente a carico degli steward delle società
3- osservatorio sulla comunicazione sportiva
4- promozione della cultura sportiva nelle scuole
5- abbassamento del limite di capienza, dalle 10 mila alle 7.500 unità, sotto il quale gli stadi non debbono rispettare il decreto Pisanu.
Potranno bastare queste misure? E chi controllerà se continueranno ad esserci legami fra tifosi e società? Dato che le società si dimostrano irresponsabili e incapaci, come mai si propone loro di acquisire la proprietà degli stadi? Chi controlla che le violenze non siano organizzate da qualcuno? Mettere tutto sul piano delle punizioni e dei controllo può bastare?
Il ministro dell'Interno Giuliano Amato, piuttosto che trattare il problema in modo più esteso, si scaglia contro le società:
Dal mondo del calcio verranno pressioni perché lo spettacolo continui, perché le entrate dello stato e delle società dipendono dal calcio. Noi abbiamo il dovere verso le forze dell'ordine e i cittadini di resistere alle pressioni... La serenità delle famiglie italiane vale di più degli interessi economici che pretendono che lo spettacolo continui... Il pubblico non potrà più entrare negli stadi non sicuri... Non tutto ha funzionato dopo la Pisanu... Molti impianti sportivi non solo sono rimasti lontani dai decreti Pisanu, ma molte società hanno dimostrato di non avere intenzione di farlo.
Ma il ministro non esprime nulla riguardo a come le società potranno essere maggiormente responsabilizzate e costrette ad assolvere tutti i loro doveri. Secondo Amato "il calcio è uno dei più grandi catalizzatori della violenza. E diventa occasione di formazione della violenza. Offre canali attraverso i quali la violenza si esprime".
Ma il ministro non affronta il problema della violenza giovanile in un ambito più esteso, e preferisce rimanere nel vago. Eppure riconosce che le misure attuate in precedenza sono state fallimentari: "C'è stata... una ripresa del fenomeno della violenza". Pur riconoscendo il fallimento della prospettiva con cui il problema è stato affrontato finora, i politici non hanno cambiato il modo di intendere ed affrontare il problema. Amato è bacchettone: "Per educare i nostri giovani serve la scuola e la famiglia, ma la punizione davanti a comportamenti trasgressivi è elemento essenziale di un'ordinata convivenza civile"; ma non riconosce che la violenza può essere fomentata dal sistema. Non generalizza il fenomeno e non riconosce un vero problema per le nuove generazioni. Egli pensa che la violenza possa essere eliminata completamente dalle norme: "La violenza di oggi effetto della non applicazione delle misure, forti e capaci di efficacia, già votate"... La violenza non nasce negli stadi, è connessa agli estremismi politici". Per Amato quindi, è normale che gli adolescenti gettino bulloni, pietre e bombe carta, e ciò, secondo lui, accade perché non c'è abbastanza repressione dall'esterno. L'"estremismo politico" appare come un'etichetta per deviare il problema da argomenti che sarebbero davvero difficili da affrontare senza scalfire il sistema politico-economico dominante.
Lo sport più praticato dai politici negli ultimi anni, sembra essere il mostrare ciò che non va, toccando soltanto gli aspetti più superficiali del problema e senza offrire soluzioni efficaci. Ad esempio, ormai si dedica molto spazio al lavoro precario, ma nessun politico propone di abrogare tutte le leggi che lo consentono. Lo stesso accade per la violenza giovanile. Eminenti studiosi hanno ormai provato che la violenza televisiva e dei videogiochi è altamente diseducativa e nociva ai giovani, eppure nessun politico ha proposto una legge che vieti il commercio dei videogiochi violenti o la trasmissione di programmi basati sulla violenza. Ci si chiede: c'è davvero la volontà di eliminare la violenza giovanile, oppure si vogliono offrire canali di sfogo che non mettano in discussione e non intacchino il sistema?
Lo scaricabarile delle responsabilità, tra società calcistiche e governo appare davvero un atto di cinismo all'interno di una situazione di grave problematicità per le attuali generazioni di giovani. Giovani in balìa della Tv spazzatura, dell'invasione pubblicitaria e della violenza di un sistema che ha espulso la vera realtà umana soppiantandola con un mondo in cui apparire sembra l'unico modo per essere.
Prima alimentare un orda selvaggia in tutti modi che "offre" la società e poi reprimerla e schedarla?
Forse...