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Questa tragedia dell'umanità va ricordata per darci una profonda riflessione...
Mio padre è un Hibakusha, ovvero un sopravvissuto all'esplosione atomica. Perciò io sono figlio di un Hibakusha, un cosiddetto Hibakusha di seconda generazione.
La prima bomba atomica fu sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945, quando mio padre aveva 11 anni.
La casa della sua famiglia si trovava a meno di 2 chilometri di distanza dall'ipocentro - il punto dove scoppiò la bomba. Ma lui, quella mattina, un lunedì, dopo aver trascorso il fine settimana dai genitori prese un treno di buon'ora per andare dai parenti che stavano 10 chilometri a nord, dove era stato sfollato.
Hiroshima, con la sua industria bellica, poteva essere colpita da un momento all'altro da pesanti bombardamenti, come tutte le altre città giapponesi. Difatti, nel cielo di Hiroshima, si vedevano sempre più sovente volare i cacciabombardieri B29. La popolazione si sentiva minacciata e per questo motivo i bambini erano stati evacuati dalla città presso i parenti in campagna, e anche mio padre frequentava una scuola là dove era stato sfollato.
Ore 8.15: scoppiò la bomba. Mio padre si trovava in un'aula scolastica. Vide un fortissimo raggio di luce, seguito da un vento fortissimo, dovuto allo spostamento d'aria causato dallo scoppio. Benché la scuola fosse situata in campagna, a una distanza di 10 chilometri dall'ipocentro, i vetri delle finestre si frantumarono. Alcuni bambini urlarono: "Il sole si è fatto in due!".
Mio padre, preoccupatissimo per la sorte dei genitori, si diresse verso la città di Hiroshima, ma fu fermato da un blocco di polizia a meta' strada.
Intanto la confusione e la tensione aumentarono con l'arrivo di una colonna di camion pieni di feriti, insieme alla numerosa gente che fuggiva dalla città. I feriti camminavano con la pelle bruciata e pendente a brandelli. Tra loro c'era anche qualcuno che aveva sulla mano il proprio bulbo oculare o madri che chiedeva l'acqua per il loro bimbo che tenevano in braccio, senza rendersi conto che era già morto.
Gli esseri umani che si trovavano a meno di 500 metri di distanza dall'ipocentro morirono tutti sul colpo a causa della temperatura che, al momento dello scoppio, raggiunse i 3000-4000 gradi centigradi. Dicono che i cadaveri erano completamente carbonizzati. A Hiroshima sono tuttora conservati vari oggetti che testimoniano la tremenda temperatura, ad esempio bottiglie di vetro sciolte come se fossero un gelato o un'ombra umana lasciata su un muro di cemento.
Per quanto riguarda mio padre, non poté che ritornare dai suoi parenti. La sera i suoi genitori, scampati per miracolo, riuscirono a raggiungerli.
C'erano molti sopravvissuti che cercavano rifugio. Molti tra questi, nonostante fossero apparentemente illesi, forse a causa dell'esposizione alle radiazioni, morirono uno dopo l'altro, tutti con gli stessi sintomi. Ovvero prima perdevano i capelli, poi perdevano il sangue non solo dal naso e dalla bocca ma anche dagli occhi e dalle orecchie, quindi emanavano un odore davvero insopportabile. Il fetore era dovuto alla decomposizione del corpo dall'interno, iniziato pur essendo ancora in vita e provocato dalla perdita della capacità rigenerativa dei globuli bianchi, danneggiati dalle radiazioni. Arrivati a questo punto, non gli rimanevano che poche ore prima della morte. Si presume che soltanto nei successivi cinque mesi del 1945 sono morte 140 mila persone a Hiroshima.
Mio padre ritornò in città 3 giorni dopo.
Quasi tutte le costruzioni erano crollate, anche la sua casa era metà distrutta e quindi inabitabile. Dappertutto si vedevano le colonne di fumo della cremazione dei cadaveri e la gente disperata in cerca dei figli o dei genitori. Mio padre cominciò a vivere in una baracca costruita da sé in un posto non lontano da dove era prima la sua casa.
Ho detto che mio padre era un Hibakusha. Lo è nel senso che possiede una tessera sanitaria per Hibakusha. Cioè gli è stato riconosciuto ufficialmente di essere stato esposto alla radiazione residua, essendo entrato nella zona che dista al massimo 2 chilometri dall'ipocentro nei tre giorni successivi all'esplosione. E come prova gli fu richiesto di portare due testimoni.
Per fortuna mio padre sta tuttora abbastanza bene, ma ci sono molte altre persone che non stanno affatto bene. Si dice che siano più di 250 mila. Molti di loro sono soggetti ad alto rischio tumorale e soffrono ancora oggi dopo oltre 60 anni.
Anche mia madre è nativa di Hiroshima. All'epoca aveva 9 anni. Non fu esposta alla radiazione tuttavia ha perso sua madre, cioè la mia nonna.
Il 6 agosto, la nonna si trovava alla stazione di Hiroshima, a 1 chilometro dall'ipocentro, perché stava portando il figlio, il fratellino di mia madre (mio zio) in ospedale. Quando esplose quel forte raggio di luce, la nonna coprì lo zio con il proprio corpo. Così la nonna morì, ma lo zio sopravvisse.
Questo genere di esperienze non erano affatto rare per noi, i bambini di Hiroshima.
Ora, vorrei raccontarvi una storia poco conosciuta nella tragedia di Hiroshima: ci furono alcuni americani morti, non contati tra le vittime.
Una settimana prima dello sgancio della bomba atomica su Hiroshima, ci fu uno spaventoso bombardamento da parte delle flotte aeree statunitensi su una città portuale militare vicina che si chiama Kure.
In quella occasione qualche cacciabombardiere B29 americano fu abbattuto dalla contraerea giapponese e alcuni soldati americani, salvatisi col paracadute, furono fatti prigionieri.
Internati in una struttura militare non lontana dall'ipocentro subirono anche loro la bomba sganciata dalla propria patria. Due di loro, nonostante le cure dei giapponesi, morirono dopo qualche giorno vomitando sangue e soffrendo parecchio. Non possiamo affermare, quindi, che le vittime siano state soltanto gli Hibakusha di Hiroshima e Nagasaki. Ci fu un'altra tragedia dentro la tragedia.
Oltre a quei due ci furono altri americani che sopravvissero ancora per qualche tempo dopo lo scoppio. A Hiroshima sono conservati alcuni disegni che li ritraggono. Alcune decine di migliaia di disegni sono stati prodotti grazie a un'iniziativa popolare con lo scopo di conservare e trasmettere la vivida memoria degli Hibakusha. Ho visto uno di essi che ritraeva uno straniero biondo immobilizzato per le caviglie con il filo di ferro al parapetto di un ponte molto vicino all'ipocentro, ucciso a colpi di botte. Sembrava che non fosse morto per la bomba ma per il linciaggio da parte della popolazione.
"Guarda cosa ci hanno fatto i tuoi connazionali con quella bomba!".
Era una vendetta. Hiroshima non era una vittima unilaterale. Vorrei che vi ricordaste: tutti possono diventare sia la vittima sia il carnefice.
Un grande pacifista giapponese Makoto Oda, ha detto:-"Abbiamo bombardato, bruciato,ucciso, o siamo bombardati, bruciati uccisi!"
Allora fratelli dopo questa grande verità, seminiamo Pace, Amore e Lavoro
germoglieranno più avanti nella nostra vita.
Auanagana Bob
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