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Dicono che le "donne vere" sono quelle con un po' di curve, quelle curve che fanno la femminilità, la seducenza, la sensualità.
Io non sono una donna. Io sono una libellula, una farfalla eterea che non ha nemmeno la forza per sbattere le ali ormai sbiadite. Come se un bimbo pestifero mi avesse tenuta per troppo tempo chiusa fra le sue mani sporche e sudaticce.
Arranco. L'anima chiusa in uno scheletro che ammiro tronfia ogni volta che mi ritrovo di fronte ad uno specchio e un ago che segna il mio cammino. Ma non è una bussola ad indicarmi la strada. E' una bilancia, un'orribile e spietata bilancia.
E non è mai abbastanza.
La mia lotta con i disturbi alimentari inizia sette anni fa. Insieme ai primi amori, le prime sigarette, le prime bigiate a scuola, sono arrivati anche loro.
Troppa solitudine, suppongo. Troppo silenzio. Troppa autonomia. Troppa indifferenza. E troppa paura.
E ho iniziato a sciogliermi come un pupazzo di neve, lasciando solo l'essenziale: le mie ossa e il mio dolore. Quell'ossessione che non se ne va.
Ricordo ancora i primi timidi digiuni, quell'accenno d'angoscia durante i pranzi e le cene ai quali non mi era possibile sottrarmi, i giochi di prestigio davvero ridicoli per non destare sospetti.
E' una condanna senza sconti.
Io non volevo essere bella. Io volevo scomparire, evaporare, volare.
Volevo essere piccola. La cosa più piccola fra le braccia di qualcuno.
Volevo riscattarmi, punirmi per le delusioni date, per le promesse infrante, per la mia incapacità di comprendere e di farmi comprendere.
E volevo perdere insieme ai chili la paura che mi attanagliava lo stomaco. Ed è bello quando per un istante ti prende l'angoscia della paura e invece, con sollievo, ti accorgi che è solo fame. E' come svegliarsi nel cuore della notte pensando sia già mattina e accorgersi invece che sono solo le 3...ancora un sacco di ore per dormire!
Non mangio per non essere mangiata.
Adoro le mie vertebre che sbucano dalla schiena, i miei polsi scheletrici, le mie anche prominenti, i miei occhi enormi.
E tutto questo è spaventoso. Temo senza ritorno.
Amo le mie gambe che sfilano e che guizzano disperate ogni volta che prendo una rincorsa, che fendo l'aria nella quale mi sembra di perdermi.
E non so se potrei un giorno fare a meno di questa condanna, che mi toglie ogni minuto un pezzo di vita dandomi per assurdo la sensazione di rinascere.
La mia psicologa dice che io ho un'aurea bellissima, ma senza colori. Luminosa, ma bianca.
L'anoressia a poco a poco ti cancella, come un bellissimo disegno che sbiadisce, si consuma, ed infine resta un'ombra. Una squallida ombra su un foglio ormai annerito e consumato.
Vivo anestetizzata.
Professionale sul lavoro, addirittura passionale in amore quando mi riesce, ma costantemente piena di lei, pervasa dal suo potere, distrutta nella mia femminilità ed emotività.
E ancora mangiare è sinonimo di debolezza, di arrendevolezza, di codardia.
Prego di poter ancora avere un bambino con quella mezza ovaia che mi è rimasta...Egoisticamente.
Non guarirei. Non sarei una buona madre probabilmente. Ma forse riavrei indietro la mia vita...
La mia vita di bambina, di adolescente curiosa e ribelle...
La vita di quelle ragazzine che spesso, troppo spesso, sorprendo intente ad osservare il mio corpo con occhi sognanti...E vorrei piangere...
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