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Parlare di solitudine può essere fuorviante. Nel mio caso è sicuramente riduttivo.
La solitudine può aver tante cause; può essere una condizione passeggera; può essere il frutto di circostanze esterne sfavorevoli.
Ma ci sono delle persone che vivono la solitudine come una condizione esistenziale. Come una situazione-limite. Come qualcosa che è iscritto nel loro codice genetico. Per queste persone la solitudine è una sorta di maledizione. Una triste abitudine e un destino ineluttabile. E il motivo è molto semplice: si sono sempre sentite diverse dagli altri. In questo caso più che di solitudine si dovrebbe parlare di disadattamento.
Forse la mia disgrazia è stata quella di essere un bambino precoce. Questo fatto ha creato subito una sfasatura fra me e i miei coetanei.
Ogni volta che entro in contatto coi miei "simili" (?)avverto una penosa sensazione di straniamento. E' come se parlassimo due linguaggi diversi. Io non capisco loro e loro non capiscono me. Le cose che fanno ridere loro spesso mi commuovono e mi fanno piangere. E le cose che commuovono loro mi sembrano ridicole, comiche o grottesche. Non abbiamo nessun interesse in comune. Il modo in cui vivono mi spaventa e mi fa orrore. Mi sembra di essere finito in un mondo di cloni che pensano le stesse cose, dicono le stesse cose e fanno tutti le stesse cose.
Avevo 14 anni e già avvertivo chiaramente la differenza fra me e loro. Loro andavano in discoteca e io odiavo le discoteche. Loro parlavano sempre di motorini e di automobili e a me non me ne poteva fregare di meno. Quando parlavano delle ragazze usavano un gergo astruso e del tutto incomprensibile (essere figo, cuccare, rimorchiare... ). Io le contemplavo estasiato; loro pensavano solo a farsi notare.
Sono passati molti anni ma niente è cambiato. Devo fare un enorme sforzo per adattarmi all'ambiente circostante. La cosa mi costa uno sforzo terribile ma è assolutamente indispensabile per lavorare e sopravvivere.
Se dovessi rinascere sceglierei sicuramente un altro pianeta.
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