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Erano le sei e mezza del pomeriggio quando Alberto, mio collega universitario, mi diede la notizia che il gruppo-studio cui avevamo partecipato per l'intero anno accademico si sarebbe concluso l'indomani con una cerimonia nell'aula 12 a cui avrebbe presenziato un sacco di gente importante. Subito gli dissi che non avremmo mai e poi mai fatto una bella figura: mancava ancora la sistemazione della relazione finale, la chiusura della raccolta firme di chi aveva sposato il nostro progetto e il versamento dei fondi ottenuti dagli sponsor per continuare la ricerca anche nei prossimi anni. Ma evidentemente non dipendeva da lui, che era solo stato il portavoce. Probabilmente il destino stava già facendo il suo corso. Così, mi diedi una mossa... Chiusi i libri che stavo studiando per il prossimo esame e mi dedicai per ore, ore e ore alla stesura della relazione. Andai a letto alle quattro del mattino, non prima di aver inviato un sms a Rebecca, una collega che aveva fatto parte del gruppo, chiedendole di predisporre le firme raccolte sugli appositi moduli, e un altro sms a Maria, che invece si era occupata della raccolta fondi. Poi mi addormentai, per risvegliarmi alle sette e mezzo circa. Il tempo di una doccia e di un caffè, e subito Alberto suonò al campanello di casa. Scesi e ci avviammo in scooter all'università, precisamente al centro di ricerca in cui avevamo organizzato le sedute del gruppo-studi. Dopo aver messo le ultime cose a posto, Alberto mi riaccompagnò a casa dicendomi che ci saremmo visti dopo appena tre ore, alle cinque del pomeriggio, nell'aula 12 per la cerimonia conclusiva. Avevo tre ore di tempo per sciacquarmi la faccia, ripassare ciò che avrei dovuto dire al microfono, vestirmi e... mangiar qualcosa per non svenire strada facendo. Misi un vestitino nero con un cardigan grigio, scarpe con tacco nere, perline sia alle orecchie che al collo, capelli con qualche boccolo alle estremità (merito della nuova piastra), borsetta nera e trucco molto leggero. Mi aiutò Enrica, mia cugina, che fu l'unica a calmare la mia ansia di quelle ore. Era la prima volta che partecipavo ad un gruppo-studi e dovevo render conto del mio operato... E poi, mi avevano nominata coordinatrice, quindi la responsabilità era totalmente su di me. Alle cinque in punto varcai la soglia dell'aula 12. No, non potevo credere ai miei occhi! Avevo davanti il mio sogno di mesi, la mia angoscia di mesi, la mia speranza di mesi. Era di spalle e stava parlando con un altro uomo, ma mi bastò vedere quei riccioli per capire che doveva essere lui! Non sapevo se entrare o meno, se varcare la soglia di quella porta o starmene lì a studiare le mosse da fare. Enrica era ancora là con me e capì subito che c'era qualcosa che non andava. D'improvviso mi vennero brividi di freddo e mani gelate. Appena pochi secondi e... si voltò. Adesso ero in corrispondenza del suo sguardo. Si, mi stava proprio guardando. No - mi dicevo - non può avermi riconosciuta; sono vestita in modo elegante, ho fatto i boccoli ai capelli e sono passati mesi da quell'esame. Continuavo a ripetermi che se mi stava fissando, il motivo non poteva essere quello che io tanto avrei sperato. Mi siedo in prima fila, accanto ai miei colleghi. Il professore che ci aveva guidati nel gruppo-studi alle 17.30 in punto fa cominciare la conferenza. Molti gruppi-studi oltre al nostro avrebbero presentato i loro lavori e nell'elenco il mio gruppo era stato posto al terzultimo posto. Il che significava dover attendere almeno due ore prima che toccasse a noi. Due ore di agonia, pensai. Ogni scusa era buona per girarmi e cercarlo con gli occhi. Volevo vedere dove era seduto, con chi era, se mi stava fissando ancora. Vi giuro che ho anche infastidito le ragazze sedute dietro di me con tutti i miei movimenti. Ma ero pazza... Volevo a tutti i costi trovarlo, non avevo intenzione che quella occasione potesse essere sprecata. Chi ha seguito la mia storia attraverso le dediche che ho precedentemente pubblicato può sapere cosa ho provato. Ad un certo punto, quando stavo quasi per perdere ogni speranza e quasi come se fossi in un film, è successa una cosa. Mi tremano le mani anche solo a scriverla. E' successo che abbassando gli occhi verso la mia borsa ho notato un fogliettino bianco all'interno piegato in due. L'ho preso in mano... L'ho aperto e ho visto una scrittura nitida, con penna nera, di poche righe. C'era scritto: "Il destino è stato benevolo con me e ti ho trovata". Non avevo dubbi! Era stato lui a scrivermi. Ma quando? Forse quando avevo lasciato incustodita la mia borsa per guardare insieme ad Alberto la scaletta della serata. Ma in fondo cosa importava saperlo! Lui mi aveva scritto un biglietto...e, cosa ancora più importante, mi aveva riconosciuta! Mi girai ancora e ancora e ancora, ma non riuscivo a vederlo. E non potevo alzarmi per cercarlo fuori dall'aula, perchè stavo in prima fila e avrei disturbato tutti e perchè il prossimo gruppo-studi a presentare i propri lavori sarebbe stato il mio. Mi rendo conto che la scena può sembrare da film, ma non sto nè aggiungendo nè togliendo nulla alla realtà dei fatti. Per una volta nella vita, ho vissuto un momento che mi ha fatto capire che i sogni esistono e che le risposte alle domande che ci poniamo non sempre arrivano in modo tempestivo. A volte occorre attendere e soffrire, fino anche a perdere ogni speranza, per poter risalire dagli abissi quando meno lo si aspetta. Io non avevo fino ad allora vissuto un solo momento della mia vita così ricco di emozioni. C'è stato un seguito, e lo scriverò in dediche successive. Per ora mi sono solo limitata a dirvi come tutto è iniziato...e chi ha avuto almeno una volta nella vita un innamoramento forte ed autentico può capire cosa io abbia provato in quell'istante. Mi sono sentita la protagonista di uno di quei film d'amore che tanto mi fanno bene quando sono giù di morale, perchè mi ricordano che i sentimenti esistono e che il destino o qualcuno da lassù i alto ne sono gli artefici.
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