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La chiave della bontà e della compassione?
“Finchè puoi alleviare le sofferenze altrui, la vita non è vana”, scrisse Helen Keller. Di sicuro la Keller sapeva cos’è la sofferenza emotiva. A causa di una malattia, a 19 mesi rimase completamente cieca e sorda. Ma un’insegnante compassionevole le insegnò a leggere e scrivere in braille e, in seguito, a parlare.
L’insegnante, Ann Sullivan, conosceva anche troppo bene cosa significa avere un handicap: lei stessa era quasi cieca. Ma con pazienza mise a punto un metodo per comunicare con Helen tracciando sulla sua mano, una per una, le lettere che formano le parole. Incoraggiata dall’empatia della sua insegnante, Helen decise di dedicare la propria vita ad aiutare i ciechi e i sordi. Avendo superato con grande sforzo il suo handicap, si metteva nei panni di quelli che si trovavano in circostanze simili. Voleva aiutarli.
Forse avete notato che in questo mondo egoista è facile ‘chiudere la porta delle proprie tenere compassioni’ e ignorare i bisogni degli altri. Tuttavia occorre amare il prossimo e di avere intenso amore gli uni per gli altri per non rendere questa vita inutile. Probabilmente però vi rendete conto di questa realtà: Benché abbiamo tutte le buone intenzioni di amarci gli uni gli altri, spesso ci lasciamo sfuggire le opportunità di alleviare le sofferenze altrui. Ciò può essere semplicemente dovuto al fatto che non ci rendiamo conto dei loro bisogni. L’empatia è la chiave che può aprire la porta alla benignità e alla compassione.e alla misericordia della quale il Buddha ne parla spesso.
Cos’è l’empatia?
Secondo vocabolario, l’empatia è la “capacità di capire, sentire e condividere i pensieri e le emozioni di un altro in una determinata situazione”. È stata anche definita la capacità di mettersi nei panni degli altri. Perciò l’empatia richiede innanzi tutto che si comprenda la situazione dell’altra persona e poi che si partecipi ai sentimenti che tale situazione produce in lei. L’empatia implica quindi il provare la sofferenza altrui nel proprio cuore.
Quasi tutti provano empatia in qualche misura. Chi non è stato toccato alla vista di immagini strazianti di bambini affamati o di profughi sconvolti? Quale madre amorevole è insensibile ai singhiozzi del suo bambino? Ma non ogni forma di sofferenza è facilmente riconoscibile. Com’è difficile capire i sentimenti di chi soffre di depressione, di chi ha qualche impedimento fisico nascosto o magari un disturbo dell’alimentazione, se personalmente non abbiamo mai avuto questo genere di problemi? Dobbiamo imparare a condividere i sentimenti di coloro che si trovano in circostanze diverse dalle nostre.
Questo possiamo farlo, basta volerlo veramente.Loving, Bob
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