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Sogno di una notte di mezzo autunno…
La incontrai in autunno in un parco, sconosciuta,semplicemente bellissima, gli occhi come le foglie che cadevano.
Ricambiò il mio sguardo con un sorriso mai visto che mi pietrificò, non saprei definire quel momento magico, il suo aspetto, la sua perfezione esteriore, lo stravagante vestire.
Non saprei descrivere il suo look moderno o antico, si fondevano insieme in una originalità mai veduta prima, l’abbigliamento ogni giorno che la incontravo era un vero e proprio tripudio dei secoli, ricambiava sempre il mio sguardo solo che stranamente se era triste me lo trasmetteva per tutto il giorno, se era seria o allegra o spensierata o affranta quelle emozioni mi raggiungevano implacabilmente per restarmi incollate addosso tutto il giorno fino al dormire.
Curiosamente desideravo vederla ma le emozioni che indossava prima di incontrarla mi mettevano sempre uno strano brivido addosso.
Non so spiegare con parole il fascino che emanava, il suo viso e le forme del suo corpo che raramente intravedevo nascosto dai suoi abiti mi raccontavano curve e sogni maschili proibiti, la sua pelle bianco perla, spesso contrastava con guance come pesche e labbra rosse come il papavero, avevo la netta sensazione che leggesse ogni pensiero nella mia mente e istantaneamente, volevo parlarle, volevo accarezzare quel viso attraente come un magnete, baciare quelle labbra perfette come un arcobaleno, la nostalgia del suo sguardo colpiva il cuore in modo struggente, me ne ero innamorato come un bambino e mi reputavo assurdo, non riuscivo a capire come mai fosse così irresistibile e affascinante e illogicamente sempre sola, sembrava come se nessun altro la vedesse, solo io e lei in questo universo di emozioni.
Un giorno che mi sentivo pazzamente audace la fermai con un espediente banale.
“Le è caduta la pashmina” dalla borsa e mentre la raccoglievo da terra mi sembrò di vedere un tessuto e un orlo della sciarpa mai visto prima.
Non le sfuggì il mio sguardo incredulo e mi sorrise, uno sguardo di un dio che si posa su un semplice umano.
Forse le sembravo elementare, nudo,comico, buono, tutto, le chiesi umilmente e rispettosamente di accompagnarla almeno per un breve tratto come uno schiavo romano.
Accettò immediatamente consapevole della mia resa, della mia sottomissione al suo inumano fascino.
Le chiesi che lavoro facesse e mi rispose enigmaticamente “vado dalle persone per contratti in scadenza”la voce come il suo aspetto, melodioso,il canto dei gabbiani in lontananza, eppure mi sembrava che fuggisse le persone ma non me e ne ero consapevole e felice….
I giorni seguenti quando la incontravo ero piuttosto buffo, la accompagnavo e parlavo, parlavo, gesticolando come un farneticante ubriaco di una qualsiasi bettola del nord europa, le dicevo che amavo tutto anche le più piccole e semplici cose, lei mi rispondeva con sorrisi che avrebbero tranquillamente ipnotizzato una gazzella davanti a un pitone costrictor.
Un giorno ero veramente patetico, avevo indossato il massimo che potevo per piacerle, un abito nero, fatto su misura e una camicia che amavo lucida rosso-amaranto e che usavo raramente come un asso nella manica di un esperto giocatore di poker, mi ero preparato puntigliosamente e un suo diniego avrebbe rappresentato per me il buio più nero…la catastrofe!
Quello che mi coinvolse subito e mi riempì di elettricità e pura adrenalina fu che non andava di passo spedito come suo solito, mi aspettava, si,mi aspettava, era ferma vicino a una grande e antica quercia nei pressi di un laghetto, sembrava un quadro di altri tempi di Matisse.
Non dicemmo una sola parola, ci baciammo disperatamente, con una lieve spinta mi appoggiò alla corteccia dell’albero, la sua lingua frenetica a scavarmi in bocca, famelica come una tigre.
Le sensazioni che provavo erano decisamente troppo per me, i suoi baci erano come cadere in un baratro sdraiato su un materasso morbidissimo, le sue carezze mi toglievano il respiro e il suo corpo aderente al mio era talmente erotico e femminile che il calore sembrava uscire troppo dal mio corpo.
Dal suo assurdo ipod di colore e forma spaziale ma di forgia medievale sortiva un coro angelico, gregoriano da rapire l’animo, mi sentivo affogare nelle emozioni, le sue mani cercavano il mio petto, il mio cuore e quando lo trovò, la mia eccitazione raggiunse lo zenith, sentì dentro di me un improvviso black out, un tracollo totale di energia, tutta la mia vita che mi attraversa l’anima, le cose belle, le cose brutte, le gioie, le malattie, le mie piccole bugie, le mie grandi verità, capìì troppo tardi che in una estasi totale dell’essere, struggente stavo morendo, come una preda sotto il peso possente del leone, senza via di scampo, poi il buio...
La sua ultima immagine, un dejà vu vissuto mille volte che solo al momento rammenti, il suo bellissimo sguardo, la vita che torna in me, il calore, la luce, l’energia, il mio cuore che pulsa di nuovo impazzito.
Lei non c’è più, vedo solo uno strano turbinio di foglie girare intorno a cerchio come per alcuni secondi impazzite, poi una stasi incredibile, l’aria ferma, volevo fuggire da lei in quei momenti ma ora che mi ha graziato la desidero di nuovo ardentemente…,come puoi fare a meno di quelle labbra per sempre?
Come puoi vivere senza di lei?
La vita non ha un senso…più non lo ha!
Per terra un foglio, una pagina di papiro antica e ingiallita e bruciacchiata ai bordi, incredibilmente sul foglio c’è scritto a fuoco il mio nome e cognome e la data di oggi, sotto una riga scritta, in carattere antico ma chiarissimo :”Solo senza di me potrai continuare a vivere, amando come sei, tornerò, devo!…”
Quella mattina, dopo il sogno presi un caffè amaro….proprio come mi sentivo….!
Loving, Bob