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Davvero, tutto é cambiato. C'era un prima e c'era un dopo.
Prima non avevo certezze, vivevo nel freddo. Il senso di oppressione era talmente intenso che uscivo continuamente dai limiti, con noncuranza. Non mi importava niente. Non rientravo a mezzanotte, non mi vestivo con decenza, l'unica cosa che mi importava di fare era allontanarmi da casa.
Anche stando a scuola, che comunque ci andavo per passarmi il tempo; ma io avevo bisogno di stare fisicamente lontano da casa mia e soprattutto da mia madre.
Era talmente appiccicosa che immaginarmi la sua voce mi dava la nausea. Immaginarmi la sua faccia mi provocava pena. Immaginarmi lei, per intero, non faceva che provocarmi rifiuto nei suoi confronti.
Detestavo le sue inutili regole, le sue inutili ramanzine, le sue inutili minacce. Detestavo la sua voce, più di ogni altra cosa. Non sopportavo quella voce squillante che sembrava volesse schiantarmi i timpani perché era sempre troppo forte. E allora io urlavo di più, urlavo soltanto di più.
Era una sfida a chi si insulta meglio. A chi si prende più in giro. A chi riesce ad offendere l'altro di più.
Prima io volevo piacere a tutti. A tutti quanti. Sono uscita con tantissimi ragazzi e nessuno di questi mi interessava. Ne ho baciati alcuni con cui non volevo un seguito, li ho baciati quasi per sfogo, quasi per sforzo, o per passatempo.
Per avere qualcosa che non mi facesse pensare al resto.
Non lo sapevo, non lo sentivo più, solo ora a distanza di mesi mi rendo conto di quanto io soffrissi.
Io soffrivo, e soffrivo tanto da arrivare al punto di non sentirlo più. Si era congelato quel dolore. Era silenzioso.
Riguardando le foto lo sento. Lo sento ancora. Lo ricordo. Ricordo le speranze e le lacrime. Ricordo il freddo, i brividi nella schiena. Ricordo il buio, e un angolino della strada. Ricordo i pantaloni troppo corti, la maglia troppo trasparente, ed io che mi specchio nelle vetrine chiedendomi dove andrò. Ricordo l'attesa più di tutto, ricordo l'attesa.
Ed ora lo sento, ancora piú forte del dolore. L'odio.
L'odio. L'odio per tutti quelli che mi circondavano. L'odio per lo sguardo languido di quei ragazzi, che mi hanno sempre visto come un oggetto. Un futile oggetto. L'odio per lui che mi piaceva tanto e non faceva che usarmi. Non mi lasciava in pace. Ogni mese era il suo turno, ed io ero troppo debole per resistere. Ogni mese venivano quelle ore di panico in cui la persona a cui credevo appartenesse il mio cuore mi usava. Mi usava e basta ed io lo sapevo.
Riguardando le foto lo sento, quel disgusto che avevo. Quelle lacrime agli occhi che non sono mai scese giù. Quel boccone amaro che ho ingoiato e basta.
Poi sei arrivato tu.
Tu mi hai cambiata.
Vado a scuola perché io voglio imparare e voglio crescere. Non mi interessa piacere agli altri, mi importa solo di piacere a te. Non m'importa più dei pantaloni attillati, corti, e le magliette trasparenti. Sono passata oltre. Ora riesco a respirare. Riesco a rilassarmi quando mamma è lontana. Quando entra ho ancora le stesse sensazioni, ma a volte riesco a sorriderle. A volte la abbraccio, le dico che le voglio bene.
Con te sono cresciuta, ed io te ne sono immensamente grata.
Ti amo G.
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