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Dedica a cui stai rispondendo
Io sono qui, sono sempre stata qui e sempre ci sarò. In questi ultimi mesi, da quando ho trovato lavoro, mi sono come sempre guardata dentro, ed ho scoperto aspetti di me stessa che mai lontanamente pensavo che mi appartenessero. Quando sono sola, nel buio della mia stanza, la paura che sale lentamente per poi diventare sempre più forte, mi spinge a sentirmi uno scarafaggio in mezzo a tante persone che io vorrei stringere ma non posso, a quel punto tutto mi è estraneo, persino la mia coscienza, e sento quella voce che mi dice cosa stai aspettando? Ebbene quella voce è la consapevolezza che io voglio essere felice, che cerco la morte, non perché tutto finisca, ma per rinascere, e poter colmare le mie mancanze di figlia. Sono i lividi del mio passato, avrei tanto voluto cancellarli, ma non vanno mai via, e mi sento assalita dai sensi di colpa verso il mio papà. E’ tutto così strano, eppure la sindrome di Stoccolma è così vera, perché io lo amo, si amo il mio papà, e faccio di tutto per emularlo da quando non c’è più fisicamente, perché sono più che convinta che il suo spirito sia dentro il mio, siamo una cosa sola, e lo saremo sempre e per sempre. In tutti gli istanti della mia vita lui c’è. L’altro giorno la mia mamma ha trovato una sua foto. Ebbene i segni del cancro che lo stavano divorando erano ben evidenti, mi sono sentita male, tante scosse di brividi hanno attraversato il mio corpo, ho urlato alla mia mamma di non farmela più vedere, lei si è spaventata tanto, ma quello non era il mio papà, io me lo ricordo sorridente, anche se raramente lo era. Tutto mi faceva male di lui, ma ho capito che non era male, ma bene ed amore, perché lui mi ha chiesto il suo perdono, quindi le sue violenze erano solo debolezze. Sentiva quella stessa tristezza che c’è nel mio cuore e non riesco ad arginarla.
Come ho potuto non capirlo prima? Nei momenti in cui mi picchiava avrei dovuto amarlo, non odiarlo. Io avrei potuto farlo e nessun altro, perché io era la vittima, invece pensavo solo a me stessa, e non al mio papà, un papà che aveva bisogno solo di essere ascoltato.
La vita è un segreto, ed anche il perdono lo è, ecco perché il segreto della vita risiede nel perdono.
Il perdono non è un gesto di coraggio, è un gesto umile d’amore, e furono le ultime parole di Gesù Cristo.
Perdonò, anzi sapeva che lo avrebbero tradito e crocifisso, eppure dalla sua bocca non uscì un lamento, ma mentre i chiodi entravano nella sua carne, egli volse lo sguardo verso suo padre e disse Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!”
Mio padre non sapeva quello che mi faceva, non sapeva a cosa sarei andata incontro, non era consapevole della sua rabbia, altrimenti non mi avrebbe massacrata in quel modo. Lui gridava in quel momento, ma io sentivo soltanto, non lo ascoltavo, se lo avessi fatto, la sua rabbia sarebbe sparita. Anna Frank, sapeva che sarebbe stata torturata ed uccisa in un campo di concentramento nazista, eppure scrisse, prigioniera nel suo rifugio, senza poter camminare, fare rumore e persino respirare, nel suo diario, “È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo”.
Lei in cuor suo aveva già perdonato, e continuava a sognare ed a sperare.
Mentre io non speravo, non sognavo, non sorridevo, non mi sforzavo di vedere quel buono che c’era nel mio papà. L’ho scoperto troppo tardi, e solo quando lo vidi riposto nella bara dopo aver baciato la sua fronte ghiacciata, gli dissi papà ti voglio bene, se lo avessi fatto prima avrei salvato lui e me stessa. Era ciò che Dio voleva da me, ed io l’ho rinnegato, come continuo a rinnegarlo tutte le volte che penso al suicidio, tutte le volte che scrivo, odio la vita, odio me stessa. In quei momenti ritorno bambina, e rivedo di fronte a me, il mio papà, sento il dolore delle botte violentissime, e mi chiedo, Gesù ma io l’ho perdonato o no? A me sembra di si. Si l’ho fatto, ma non riesco a dimenticare del tutto. Sono fragile come lo stelo di un fiore. Non sono cresciuta, non crescerò mai, e quando vi scrivo quelle cose terribili, amici miei carissimi è per dirvi che sto affogando nelle mie lacrime, non connetto, non sono me stessa, la parte peggiore di me prevale, e la parte migliore scompare. Prego Dio, lo supplico, ma il desiderio di farla finita è troppo difficile per me da sconfiggere. E’ un gigante che mi schiaccia senza pietà, mi investe come un treno merci lasciandomi a pezzi sulle rotaie, e quando ritorno in me, ricordo poco o nulla, ma so, credetemi lo so benissimo, che è crudele recidere un fiore e lasciare che viva solo il suo stelo, quel fiore va coltivato, va bagnato tutti i giorni, va curato, va amato, semplicemente amato, e per fiore intendo la vita.
Il mio papà e la mia mamma dolcissima, con i suoi occhi grigio azzurri splendenti, mi hanno donato la vita, non vedevano l’ora che nascessi, mi hanno desiderata con tutto il cuore, ed io cosa faccio? Mi struggo al pensiero che la vita sia troppo lunga per me, invece la vita è sempre troppo breve, e quando va via, è sempre troppo presto.
Capisco che la mia lettera sia confusa, ma i pensieri che escono dal fondo di me stessa s’intrecciano, non sempre sono lineari e limpidi, a volte anch’io non li capisco, e questa continua ricerca del mio “IO” attraverso lo scrivere, mi logora, ma non posso cambiare, io devo scoprire chi sono senza dimenticare però di vivere.
Evviva la vita
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