L'invio delle risposte è gratuito, le informazioni del mittente sono opzionali.
CATEGORIE
L'invio delle risposte è gratuito, le informazioni del mittente sono opzionali.
Dedica a cui stai rispondendo
Tutta la realtà scientifica sull'uso delle cosidette "droghe leggere"che per l'appunto leggere non sono:-
“Nessuno è mai morto per uno spinello”, “una canna non fa male a nessuno ed è meno dannosa di un bicchiere di vino”, “è una sostanza naturale”, “sono molto più nocivi alcool e tabacco della cannabis”,… sono alcuni degli slogan che gli antiproibizionisti usano nella campagna per la depenalizzazione delle cosiddette droghe leggere che, oltre a puntare su presunti benefici terapeutici nella cura di malattie che impressionano l’immaginario collettivo, vogliono anche rimarcare l’assoluta innocuità per la salute, di un consumo puramente voluttuario.
Vediamo, allora, se è vero che “le canne non fanno male” andando a controllare ciò che dicono studi e ricerche scientifiche.
Cannabis come droga d’inizio
“Chi usa cannabis, corre un rischio 60 volte maggiore di passare ad altre sostanze illecite rispetto a chi non consuma”. La marijuana diventa in questo modo la porta d’accesso verso la sperimentazione di sostanze più forti e deleterie come cocaina ed eroina. Il Dipartimento per le Politiche Antidroga osserva che il “95% delle persone tossicodipendenti da eroina in trattamento in Italia ha iniziato con la cannabis”.Purtroppo è un dato di fatto.
Sono diversi gli studi che provano come “i cervelli di persone vulnerabili, sensibilizzati in giovanissima età con cannabis, spesso evolvano con più facilità, in età più avanzate, verso forme di "addiction" da eroina o cocaina”.
Un’indagine sul consumo di cocaina realizzata nel 2008 dalla ASL di Bologna – citando la relazione del dottor Pavarin – ha rivelato che esiste “una elevata tendenza al policonsumo: il 60% di chi ha usato una qualsiasi droga ha utilizzato più di una sostanza, il 34% più di tre”; e “dall’analisi dei dati sembra molto difficile il passaggio all’uso di altre sostanze illegali senza prima aver utilizzato hashish o marijuana: solo il 4% degli intervistati ha usato sostanze illegali senza provare cannabis”.
Alterazioni e danni Cerebrali, invecchiamento precoce
Il principio attivo della cannabis, tetraidrocannabinolo (THC), può provocare gravi alterazioni cerebrali. Scoperte recenti hanno messo in luce che “il tetraidrocannabinolo induce la morte cellulare con restringimento dei neuroni e la frammentazione del DNA nell’ippocampo”. L’uso precoce di questa sostanza (durante l’adolescenza) è stato associato “a deficit cognitivi a lungo termine e ad una minore efficienza delle connessioni sinaitiche nell’ippocampo in età adulta”.
E non solo, “studi sugli effetti cognitivi dell’uso di cannabis riportano deficit nell’attenzione sostenuta nell’apprendimento, nella memoria, nella flessibilità mentale e nella velocità di processamento delle informazioni”. Anche in questo caso “più precoce è l’inizio d’uso di cannabis, maggiori e più gravi sono le conseguenze cognitive associate”.
Il fumo della cannabis altera “la memoria a breve termine, le percezioni, la capacità di giudizio e le abilità motorie”, come hanno dimostrato le ricerche del National Institute on Drug Abuse (NIDA). Si è visto che il THC agisce colpendo “le cellule nervose in quella parte del cervello dove risiede la memoria, impedendo ai consumatori di ricordare avvenimenti recenti e rendendo difficoltoso l’apprendimento”.
Con buona pace di coloro che sostengono sia più dannoso l’alcool della cannabis, si è in realtà riscontrato che, a differenza dell’alcool, gli effetti sulle capacità e le funzioni neurocognitive della marijuana, persistono anche dopo il periodo di intossicazione, variando in base alla durata e alla precocità del periodo di esposizione. Questo perché il THC rimane in circolo nell’organismo per giorni o, addirittura, settimane dopo l’assunzione, continuando a produrre i suoi effetti negativi. C’è poi da dire che fumare marijuana significa assumere anche altre sostanze tossiche per l’organismo, come ammoniaca e idrogeno cianide, presenti in quantità 20 volte superiore rispetto a quello riscontrabile normalmente nel tabacco. Secondo uno studio della British Lung Foundation “fumare tre o quattro volte al giorno marijuana corrisponde a fumare 20 sigarette di tabacco”.
Ma non solo, l’esposizione cronica al THC accelera anche la degenerazione, normalmente collegata all’invecchiamento cellulare, sia a livello mentale che fisico. Questa correlazione è stata evidenziata, tra gli altri, da J.C. van Ours e J. Williams, nel corso di una conferenza tenutasi il 14 gennaio 2011 dal titolo “The Effects of Cannabis Use on Physical and Mental Health” (Editorial Express). Lo studio ha reso noto che “l’effetto del consumo medio di cannabis sulla salute mentale è stimato, nell’uomo, ad un invecchiamento di undici anni e, nella donna, ad un invecchiamento di vent’anni”, mentre “il consumo medio di cannabis comporta, sulla salute fisica di un uomo, un invecchiamento di otto anni”. I ricercatori mettono quindi in guardia dall’uso di cannabis coloro “che vogliono rimanere giovani, o desiderano non invecchiare troppo velocemente”, in quanto l’utilizzo di questa sostanza “li porterà ad essere sostanzialmente più vecchi rispetto ai coetanei che si astengono dal consumo”.
Disturbi psicotici
A causa dell’alterazione della capacità dei neuroni di svilupparsi in maniera appropriata, il consumo di cannabis ha effetti molto gravi in età adolescenziale, “con il risultato che il cervello di un adulto che da adolescente ha consumato cannabis, risulta più vulnerabile ed esposto all’insorgere di disturbi mentali (depressione, psicosi e disturbi affettivi) (Le Bec, 2009)”.
In un documento redatto a febbraio 2009 – contenente un’abbondante e significativa bibliografia – il Royal College of Psychiatrist (RCP) del Regno Unito, ha chiaramente indicato come ci sia una crescente evidenza del fatto che, l’uso regolare di cannabis, raddoppi il rischio di sviluppare episodi psicotici o schizofrenia. La ricerca degli psichiatri inglesi ha messo in luce un chiaro legame tra consumo precoce di cannabis e il successivo sviluppo di problemi mentali, sia in coloro che sarebbero geneticamente vulnerabili a problemi come depressione e psicosi, sia in coloro che – pur non essendo predisposti – iniziano a consumare cannabis in età adolescenziale. Verosimilmente il problema sembra causato dell’interazione delle sostanze psicotrope con le cellule nervose di un cervello ancora in fase di sviluppo. Il cervello, infatti, completa la sua maturazione intorno ai vent’anni d’età, per cui “ogni esperienza o sostanza che disturba questo processo può potenzialmente produrre effetti psichici a lungo termine”.
In Inghilterra, dopo che il governo ha declassato lo status legale della cannabis in classe C, i consumi sono aumentati. Nel 2006 – ha scritto l’Independent - sono state più di 22mila le persone che sono dovute ricorrere a cure ospedaliere per problemi correlati alla dipendenza di cannabis e “oltre la metà di questi erano ragazzi sotto i 18 anni. In totale i ragazzi costretti a farsi aiutare a livello medico sono passati dai 5mila del 2005 al 9.600 del 2006, mentre gli adulti sono stati 13mila”. “Il dottor Robin Murray dell’Istituto di Psichiatria di Londra ha reso noto che almeno 25mila dei 250mila schizofrenici che ci sono nel Regno Unito avrebbero potuto evitare questa malattia se non avessero fumato cannabis”. Mentre il professor Neil McKeganey, del Centro Glasgow University per la ricerca sull’abuso di stupefacenti, ha denunciato il fatto che “la società ha gravemente sottovalutato la cannabis”, questo “è davvero pericoloso… nei prossimi dieci anni potremmo vedere un numero crescente di giovani in gravi difficoltà”.
Mentre “il Lancet, nel luglio 2007, mostrava che eliminando la marijuana, le psicosi nella popolazione diminuirebbero del 14%”.
Sono tre gli studi importanti – basati sull’osservazione per diversi anni di un considerevole numero di persone – che hanno dimostrato che coloro che consumano cannabis hanno un rischio superiore alla media di sviluppare schizofrenia. Se si inizia a fumare cannabis prima dei 15 anni, la probabilità di sviluppare un disturbo psicotico intorno ai 26 anni è quattro volte più alta. Mentre, uno studio australiano che ha seguito 1.600 studenti dai 14 ai 15 anni per sette anni, ha rilevato che gli adolescenti che usavano cannabis con regolarità, avevano un rischio significativamente più elevato di depressione, mentre gli studenti che la consumavano ogni giorno mostravano una probabilità cinque volte più alta di sviluppare depressione e ansia nell’età adulta.
Lo psichiatra Giuseppe Ducci, direttore del reparto di psichiatria del San Filippo Neri di Roma, denuncia che oggi si registrano “disturbi psicotici gravi sempre più precoci. Abbiamo persone di 24-25 anni che, dopo anni di abuso, hanno il cervello di un novantenne e un futuro di lungoassistiti”. Ma non solo. “La cannabis – continua Ducci – produce la sindrome amotivazionale: i ragazzi non vanno più a scuola, non vedono gli amici, si chiudono in se stessi. Alcuni arrivano al delirio o all’abulia, il prologo di un futuro complicato”. In sostanza, conclude lo psichiatra senza troppi giri di parole: “definire la cannabis una droga leggera è una vera fesseria”.
Dipendenza e astinenza
L’uso di cannabis continuato nel tempo può condurre a dipendenza. Diversi sintomi sono stati descritti, anche associati a dosi molto alte di cannabis, tra i quali: “umore irritabile o ansioso, accompagnato da modificazioni fisiche come tremore, sudorazione, nausea, modificazione dell’appetito e turbe del sonno”.
Nel sito internet www.pharmamedix.com si può leggere che, nonostante si ritenga che la componente psicologica della cannabis sia predominante rispetto a quella fisica, è stato dimostrato che l’uso continuato può comportare tolleranza verso diversi effetti, fra cui quelli sulla frequenza cardiaca, sulla pressione arteriosa e sull’elettrocardiogramma. Tale dipendenza è stata evidenziata sia dopo somministrazione per via inalatoria (fumo), sia orale (Haney et al., 1999; Haney et al., 1999a). In caso di astinenza, i sintomi comprendono agitazione, ansia, disforia, irritabilità, aggressività, insonnia, tremori, iperriflessia (Wiesbeck et al., 1996; Smith, 2002). La prevalenza dei sintomi da astinenza nei consumatori cronici di cannabis è del 16-29%, mentre il rischio di sviluppare dipendenza negli utilizzatori saltuari è di circa il 10%.
Questi problemi sono stati evidenziati anche dagli psichiatri inglesi che hanno parlato di “tolleranza” alla sostanza, che porta i consumatori a “doverne prendere sempre di più per ottenere lo stesso effetto”, e di vari sintomi da astinenza tra i quali: forte bisogno di assunzione, diminuzione dell’appetito, disturbi del sonno, perdita di peso, aggressività e/o rabbia, irritabilità, irrequietezza, sogni strani.
Altri disturbi ed effetti negativi
I recettori per le sostanze attive della cannabis non sono presenti solo nel cervello ma anche negli occhi, orecchie, cute, stomaco ed altri organi, dove possono produrre effetti, potenzialmente pericolosi, alcuni dei quali non ancora del tutto chiariti. Ad esempio, in alcuni consumatori abituali di elevate quantità di hashish sono comparsi disturbi alla vista persistenti dopo la sospensione della droga (Laffi et al., 1993); mentre in un giovane di 24 anni è stata segnalata ipertermia grave durante uno sforzo fisico (jogging) dopo aver fumato cannabis (Walter et al., 1996).
L’uso di cannabis può provocare anche un’intossicazione acuta con sintomi come euforia, variazioni dell’umore, confusione, disorientamento, delirio, disforia, incremento della frequenza cardiaca a riposo, xerostomia, atassia, iperiflessia. Ma il consumo di cannabis può indurre anche panico e allucinazioni, psicosi acuta e, addirittura, coma.
Uno studio olandese, pubblicato nel 2008 sull’International Journal of Dental Hygiene, condotto dal Dipartimento di Paradontologia del Centro Accademico di Odontoiatria di Amsterdam, ha rilevato una correlazione tra uso di cannabis e alcune patologie dell’ambiente orale. I ricercatori hanno perciò concluso che, data “la crescente prevalenza del consumo di cannabis, gli operatori sanitari del cavo orale devono essere consapevoli delle patologie associate alla cannabis, come xerostomia, leucoedema e aumento della diffusione e intensità di candida albicans”.
In un altro studio, realizzato da Mittleman e colleghi (2001) su 3.882 pazienti che avevano avuto un infarto del miocardio, è emerso che il consumo di cannabis, ad un’ora dalla sua assunzione, aumenta il rischio di infarto di 4-8 volte rispetto a coloro che non la usano. Mentre, studi del NIDA hanno comprovato “che l’assunzione di marijuana inibisce il funzionamento delle cellule T che servono al sistema immunitario per combattere le infezioni”.
Effetti sulla sessualità
L’effetto negativo del THC sulla sfera sessuale sia maschile che femminile è noto da tempo. I consumatori uomini “possono risultare incapaci di raggiungere l’erezione”, ed avere problemi di fertilità, a causa di “una minor incidenza di spermatozoi competenti”. Nelle donne si è osservata “un’alterazione del ciclo mestruale” e livelli più alti di testosterone che possono influire sulla fertilità. In generale, il consumo di marijuana è stato anche associato all’inibizione dell’orgasmo.
Cancro ai polmoni e altre patologie polmonari
“Il fumo di cannabis altera la composizione genetica del DNA aumentando il rischio di cancro”[33].
“L’uso cronico della Cannabis per inalazione (fumo) comporta effetti analoghi al tabagismo, cioè irritazione delle vie respiratorie, broncocostrizione e rischio di tumore polmonare. Il fumo di cannabis, infatti, contiene gli stessi prodotti della combustione riscontrati nel fumo di tabacco: monossido di carbonio, catrame, sostanze mutagene e cancerogene (benzoantraceni e benzopireni a concentrazioni superiori a quelle del fumo di tabacco). Inoltre la deposizione di catrame a livello di epitelio delle alte e basse vie respiratorie è maggiore rispetto al fumo di tabacco per la diversa modalità con cui si fuma (aspirazioni più profonde e durature, assenza di filtri). Gli effetti dei due tipi di fumo, cannabis e tabacco, sono additivi. È stato calcolato che i danni all’epitelio bronchiale in chi fuma abitualmente 3-4 sigarette di cannabis, siano paragonabili a quelli riscontrati in chi fuma 20 o più sigarette di tabacco (Wu et al., 1988)”.
Uno studio francese pubblicato nel 2011 ha precisato che “l’impatto specifico del fumo di cannabis è difficile da valutare con esattezza, poiché, nella maggior parte dei casi, viene mescolato con il tabacco”, tuttavia, “nonostante le importanti differenze con il fumo di tabacco”, si è riscontrato che “l’esposizione alla cannabis raddoppia il rischio di sviluppare il cancro ai polmoni”.
Uno studio inglese del 2010, ha messo in correlazione la cannabis, oltre che con il cancro al polmone, anche con altre patologie polmonari, evidenziando “un’emergente preoccupazione tra molti specialisti del torace” per il fatto che l’uso abituale di cannabis “possa contribuire allo sviluppo di malattie polmonari ostruttive croniche, infezioni pneumotoraciche e respiratorie, inclusa la tubercolosi”. Invece, un altro studio pubblicato nel 2009 sul British Journal of Cancer, ha segnalato la relazione tra uso di cannabis e carcinoma nasofaringeo, “dove l’associazione con un diverso tipo istologico di tumore sembra suggerire un meccanismo carcinogenetico diverso rispetto a quello del fumo/aspirazione nasale di tabacco”.
Cancro ai testicoli
Una ricerca della University of Southern California, pubblicato sulla rivista Cancer, ha rilevato il legame tra il consumo di marijuana e aumento del rischio di sviluppare un cancro ai testicoli. I ricercatori hanno confrontato le storie di 163 giovani uomini dediti all’uso ricreativo di cannabis e colpiti da cancro ai testicoli, con quelle di 292 uomini sani della stessa età, etnia, e provenienti dai medesimi quartieri, scoprendo che coloro che fanno uso di marijuana hanno il doppio di probabilità di ammalarsi di sottotipi di cancro ai testicoli (“non seminomi”) e tumori misti alle cellule germinali. I ricercatori hanno sottolineato che, visti i risultati, “i potenziali effetti cancerogeni della marijuana sulle cellule testicolari dovrebbero essere considerati non solo nelle decisioni personali sull’uso ricreativo di droga, ma anche quando la marijuana e i suoi derivati sono utilizzati a fini terapeutici”.
Dopo l’uscita di questo studio, Stephen Schwart, epidemiologo presso il Fred Hutchinson Cancer Center di Seattle, autore nel 2009 del primo studio ad aver rilevato questo genere di associazione, ha dichiarato: “Ora abbiamo tre studi che collegano l’uso di marijuana al cancro ai testicoli, e nessuno studio che li contraddice”[39].
Danni al feto
Uno studio condotto da El Marroun (2010) ha concluso che “la cannabis, anche se assunta per un breve periodo durante la gravidanza, può influire negativamente sulla crescita e sullo sviluppo del feto”. In individui adulti che erano stati esposti alla cannabis durante la vita intrauterina sono stati riscontrati: comportamenti impulsivi, deficit sociali, danni cognitivi, consumo di sostanze d’abuso e disordini psichiatrici (schizofrenia, depressione, ansia).
“I bambini nati da madri che avevano fumato cannabis in gravidanza, oltre a presentare un basso peso alla nascita ed eccitazione psicomotoria, mostravano, sul lungo periodo, difficoltà nei processi di memoria quando sottoposti a test visivi”.
Uno studio australiano, condotto in un periodo di 7 anni (2000-2006) su 24.874 donne in gravidanza che avevano dichiarato il consumo di cannabis, ha documentato diversi e gravi rischi a carico del feto e del neonato, tra i quali: basso peso alla nascita, parto pretermine, ritardo nella crescita, e ricovero in terapia intensiva neonatale.
Effetti sulla guida
I consumatori di droghe sono più propensi ad assumere “in maniera combinata” anche alcool, un binomio pericoloso foriero di numerosi incidenti stradali. “Gli effetti della cannabis alla guida variano in relazione alla dose di principio attivo assunta, alla via di somministrazione, alle esperienze pregresse dell’utilizzazione, alla vulnerabilità individuale e al contesto di assunzione”. Studi sperimentali ed epidemiologici che hanno analizzato gli effetti della cannabis sulle prestazioni psicomotorie, hanno evidenziato “scompensi dose correlati rispetto ad una serie di funzioni necessarie alla guida”.
Uno studio condotto in Nuova Zelanda ha rilevato che coloro che fumavano regolarmente cannabis, e avevano fumato prima di guidare, avevano più probabilità di essere feriti in un incidente d’auto. Mentre uno studio recente condotto in Francia su oltre 10mila guidatori che erano stati coinvolti in incidenti stradali mortali, ha visto che – anche quando l’incidenza di assunzione di alcool è stata presa in considerazione – i consumatori di cannabis avevano più del doppio di probabilità sia di causare un incidente mortale che di essere una delle vittime.
Comportamenti criminali e pensieri suicidi
“Il consumo di cannabis in età adolescenziale aumenta la probabilità di essere successivamente coinvolti in attività criminali”.
“L’uso cronico è associato a ideazione paranoide e, nei soggetti con età compresa fra 14 e 21 anni, ad un incremento di comportamenti che portano a furto, crimini violenti, suicidio rispetto a chi non ne fa uso”.
A settembre 2012 l’Ansa ha reso note le conclusioni di uno studio australiano-neozelandese che è stato presentato alla Conferenza Nazionale sulla Cannabis a Brisbane. Gli studiosi hanno seguito 1.265 soggetti per 30 anni, rilevando che l’uso regolare di cannabis può far scattare pensieri suicidi in alcuni assuntori, soprattutto se adolescenti o giovani adulti: più alta è la frequenza dell’uso regolare della droga, più rapidamente gli individui suscettibili diventano inclini al suicidio.
Scrive il Dipartimento Politiche Antidroga che coloro che sostengono l’innocuità della cannabis, si soffermano quasi sempre sul fatto che non ci siano decessi collegati ad un sovradosaggio della sostanza, una motivazione assai debole, poiché – come riconosce la stessa comunità scientifica – per stabilire la pericolosità di uno stupefacente non basta considerare le morti dirette, ma anche i rischi aggiuntivi di patologie collegate all’uso (cancro, infarto, patologie polmonari,…). C’è poi da considerare anche la “mortalità droga correlata”, cioè “la capacità della sostanza di dare condizioni [calo di attenzione e di riflessi] che possono portare a morte o invalidità del soggetto per aumento del rischio di incidente stradale, e per incidente sull’ambiente di lavoro o domestico”.
Bisogna poi tenere conto delle conseguenze non mortali ma altamente invalidanti sulle funzionalità neuropsichiche, come l’alterazione e la perdita di capacità e funzioni cognitive fondamentali per lo sviluppo della persona, che incidono in maniera pesante sulla memorizzazione, attenzione, e apprendimento, oltre a tutte le altre gravi conseguenze che abbiamo visto (Psicosi, schizofrenia, pensieri suicidi, ecc.).
A proposito di “Uso terapeutico”
Nella relazione del DPA si fa notare che articoli scientifici che riferiscono di risultati positivi sui farmaci a base di THC per uso medico, sono impropriamente utilizzati da Organizzazioni orientate alla legalizzazione, con l’intenzione di “far percepire e promuovere il concetto dell’innocuità dell’uso della cannabis e dei suoi poteri medicamentosi per curare (in realtà produrre effetti sintomatici e non eziologici) patologie molto gravi che impressionano l’immaginario collettivo quali il cancro, la sclerosi multipla, il morbo di Crohn, ecc.”. Ma, ad esempio, “la US National Multiple Sclerosis Society ha affermato che non vi è nessuna evidenza scientifica che provi l’efficacia della marijuana sulle persone affette da Sclerosi Multipla”.
“Pur essendo concordi ad approfondire questi aspetti con studi scientifici – si legge nel documento –, è chiara la demagogica intenzione di far percepire tale sostanza stupefacente, attraverso la pubblicizzazione ed esagerazione delle sue qualità ed applicazioni mediche, come ‘positiva, utile e salutare’ ottenendo così una diminuzione della percezione del rischio e dei danni che essa può produrre se usata anche per scopi voluttuari”.
L’equazione “se il THC va bene per tante malattie allora vuol dire che fa bene alla salute e non c’è problema ad usarlo” non può essere accettata e, anzi, va contrastata, perché tra i due piani intercorre una “profonda differenza”. Infatti, un conto è l’esistenza di “farmaci a base di THC prodotti dall’industria farmaceutica” e le sperimentazioni per “studiare le potenzialità mediche del THC attraverso le tradizionali e severe metodologie della ricerca”, altra cosa è sponsorizzare “prodotti artigianali e non controllati provenienti dalla produzione fraudolenta” ammantandoli di demagogia “per sostenere la bontà della legalizzazione e dell’uso a scopo voluttuario”.
Un pensiero analogo esprime anche Giovanni Zaninetta – direttore dell’Hospice della casa di cura Domus Salutis di Brescia (già presidente della Società italiana di cure palliative) – il quale dichiara di “non demonizzare a priori una molecola che può avere potenzialità”, tuttavia è necessario “indagare correttamente sul rapporto costi-benefici di questi farmaci”. Ad esempio, nell’ambito della sclerosi multipla, “vanno condotti studi più convincenti di quelli che abbiamo a disposizione”, mentre, riguardo alle cure palliative, “ci sono farmaci meno costosi per la cura del dolore e altrettanto efficaci come la codeina”.
In un’intervista al Corriere Zaninetta ha anche aggiunto che: “Bisogna stare molto attenti: non possiamo considerare la cannabis come un farmaco miracoloso, perché proprio non lo è. E, soprattutto, dobbiamo anche ricordare che non è particolarmente indicato per il trattamento del dolore”, infatti, “per poter usare la cannabis come antidolorifico serve un dosaggio molto alto e, a quel punto, il risultato è che presenta gli stessi effetti collaterali della morfina. Che è già disponibile e non costa nulla”. Ecco perché, continua Zaninetta, “mi sembra uno spreco. Come succede anche per altri effetti dei farmaci cannabinoidi”, ad esempio in merito all’esito “euforizzante” della cannabis, “anche in questo caso esistono già tanti altri farmaci a disposizione che costano meno”.
Quando si parla di cannabis terapeutica, conclude Zaninetta: “dobbiamo stare attenti a non confondere i piani” poiché si tratta “di farmaci contenenti il THC, il principio attivo della cannabis, che in quei casi viene attentamente controllato e dosato”, da “non confondere [con] una fumata di spinello”. Ci troviamo, perciò, su due livelli ben distinti, due contesti che “non sono affatto la stessa cosa”.
In sostanza, la strategia usata dagli antiproibizionisti è quella di cercare di portare a casa la depenalizzazione delle droghe “leggere” (hashish e marijuana), per poi arrivare ad una piena legalizzazione di tutte le droghe, pesanti comprese (cocaina, eroina, anfetamine,…). Tuttavia, viste le resistenze che continuano a prevalere anche nei confronti delle droghe “leggere”, gli alfieri della droga libera puntano a far leva sull’uso della cannabis a “scopo terapeutico”, piuttosto che sul consumo voluttuario, cercando di far passare il messaggio che se la cannabis ha effetti benefici nella cura di importanti malattie, la si potrà di certo usare senza problemi anche a titolo personale e ricreativo. Questo obiettivo – ricorda Giuliano Guzzo – è “messo nero su bianco sul manuale I radicali e le Droghe. Basta con il Proibizionismo (1995)”, dove si sostiene apertamente che “la medicalizzazione rimpiazza la penalizzazione e ha il merito di essere rassicurante per l’opinione pubblica”.
In realtà, come dimostrano un’enormità di studi e ricerche empiriche, la cannabis non è affatto quella droga innocua e “leggera” che gli antiproibizionisti sponsorizzano: hashish e marijuana fanno male, molto male. Perciò non resta che augurarsi che in Italia le droghe “leggere” non vengano mai depenalizzate, invitando, in particolare, adolescenti e giovani, a tenersene saggiamente alla larga, se non vogliono correre il rischio di ipotecare la propria salute mentale e fisica, e compromettere il proprio futuro.
© 2001-2021 by SCRIVILO - Tutti i diritti riservati
p.iva 01436330938