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Molte volte – e negli ultimi periodi ancora di più – mi capita di pensare alle difficoltà che si palesano nella vita. In questa società sempre più povera di valori, di rispetto ed educazione, in cui spesso la fa da padrone chi mostra cinismo e cattiveria, mi sento un po’ alieno. Perché trovo che non vi sia più spazio per le piccole debolezze ed i sentimenti sembrano essere stati banditi. Diventa sempre più complicato comunicare, collaborare ed aiutarsi. Ammetto che, nonostante i miei sforzi, talvolta vacillo e resto basito di fronte a meccanismi comportamentali che sono lontani dal mio modo di vivere il mondo. Riconosco i limiti che mi appartengono e gli errori che commetto, perché anch’io sono in continua lotta per migliorare ed imparare. Eppure non mi riesce proprio di essere fermo sulle mie posizioni a tal punto da non mettermi in discussione, a tal punto da non considerare le altre persone come esseri viventi uguali a me nella loro unicità. Tuttavia, come molti fortunatamente, difendo certi valori, modi e toni che reputo sacrosanti nel costante approccio con gli altri e per non rassegnarmi mi rifugio nella letteratura. Non tanto per trovare risposte, ma più che altro per cercare qualcosa che mi aiuti a non alzare le mani in segno di resa. Italo Calvino nel suo libro “La città invisibile” scrive un passaggio che rileggendolo mi emoziona sempre:
L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. (Italo Calvino)
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