Mio padre era una persona difficile, impenetrabile... Lavorava in banca, e per lui che proveniva da una famiglia di contadini, e soprattutto non avendo studiato oltre le medie era un sogno. Per cui considerava il “suo posto” una specie di nido nel quale si sentiva forte e sicuro di sé. Al di fuori del lavoro invece era una persona che di fronte alle difficoltà si deprimeva e spesso delegava a mia madre tutte le incombenze più importanti adducendo la solita scusa “non ho tempo” ! ! ! !... e mia madre “non poteva” dire di no, altrimenti erano liti furiose. Ho preso tante di quelle botte, che ogni tanto sento ancora il bruciore, ma non sulla pelle, nel cuore. A volte mi ha picchiata per motivi futili, tipo perché aveva trovato un giornale fuori posto, o soprattutto perché la giornata lavorativa gli era andata storta, e quindi tornava a casa nervoso, sfogandosi su di me in particolare, perché mi ribellavo al suo comportamento e gli rispondevo, ed allora le botte piombavano sul mio corpo ancora più forti. Era una furia. Solo la mia mamma riusciva a portarlo alla ragione, ma finiva anche lei col prenderle. Il giorno dopo pieno di rimorsi mi si avvicinava per chiedere scusa... senza carattere insomma... Ci sono due episodi che non potrò mai dimenticare, perché mi hanno talmente tagliata dentro in maniera indelebile, che forse da allora iniziò il mio male di esistere che mi ha accompagnata fino a pochi anni fa. Il primo accadde di sabato mattina, mi trovavo in bagno, lui entrò mi disse qualcosa che non ricordo, ed io gli risposi. Ovviamente la risposta non gli andò a genio, infatti si girò verso di me e mi sferrò un pugno violentissimo sotto l’occhio. In un attimo spuntò fuori a punta un grumo di sangue, poi lentamente si fece nero. Si spaventò tantissimo dopo aver capito quello che aveva commesso. Mia madre sentendo le mie urla di dolore e di disperazione corse da me e vedendomi in quello stato il suo viso dolcissimo si trasformò in una maschera di ghiaccio, senza forma, ma subito si riprese e terrorizzata mi portò dal dottore. Mentre eravamo nella sala d’aspetto, guardai per un attimo fuori dalla finestra e lui era lì fuori che mi osservava con gli occhi di pianto, forse voleva entrare per starmi accanto ma non osava farlo, poi sparì, non so dove andò, ma ricordo benissimo l’umiliazione che provai quando dovetti dire al dottore chi mi aveva conciata in quel modo. Anche lui stentava a crederci ma mi disse che siccome era amico di mio padre non lo avrebbe mai denunciato. Mi si gelò il sangue, non avrei mai immaginato di arrivare a tanto, ma la realtà era quella e dovevo accettarla. Da quel giorno incominciai a mentire. Alle mie compagne di classe dissi che ero scivolata nel bagno e che ero andata a sbattere contro la lavatrice. Tutte credettero alla mia storiella, tranne una signora, la vicina di casa della mia migliore amica di allora che mi disse, non dire bugie, si vede benissimo che quello è un pugno. Avrei voluto urlare in quel momento, dire si ha ragione signora, ma non potevo, non potevo umiliarmi ancora, e non potevo metterlo in cattiva luce. Lui nel paese era rispettato da tutti. Era considerato l’uomo perfetto, chi ero io per sp***anarlo ? Dovevo solo continuare a stare zitta e così feci. Ma quella striscia nera sotto l’occhio pesava sulla mia anima come un macigno. Non riuscivo nemmeno a guardarmi allo specchio, non c’era più luce intorno a me, avevo solo quattordici anni, ma già smisi di ridere, non piangevo nemmeno perché in fondo anche se dentro ero di ricotta, fuori conservavo il mio orgoglio. Non provavo più niente per lui, vagavo per le strade in cerca di un perché, ma la risposta non riuscivo mai a trovarla. Avevo solo voglia di sparire, prendere il primo treno senza conoscere la destinazione, ma scappare era uguale a morire, perché tutti ne avrebbero sofferto troppo, ed aggiungere dolore ad altro dolore era ingiusto. Ricordo che per l’iscrizione alla scuola superiore era necessario fare una foto tessera da apporre sul modulo d’iscrizione, ed io come potevo presentarmi con quella faccia ? Il giorno della foto mia madre mi disse mi dispiace tanto piccola mia ma purtroppo devi farla, lo so che è dura, ma il segno non andrà via in pochi giorni ci vorranno dei mesi, ed anche con l’occhio nero hai un viso bellissimo, per cui non preoccuparti più di tanto. Le parole di mia madre mi sollevarono da un incubo senza fine, ma mentre mi incamminavo verso il fotografo, lacrime di sangue scendevano sul mio volto, avevo vergogna, non volevo che quel segno rimanesse indelebile, non volevo che tutti lo vedessero li fisso su una piccola foto insignificante, ma non avevo scelta, e così con il cuore in frantumi mi sedetti di fronte al fotografo che con la sua macchina fotografica in pochi secondi mi fece la fatidica foto, quella che poi è rimasta nella storia, perché a distanza di tanti anni la conservo ancora, e non appena mi capita sotto gli occhi, non posso far altro che ricordare quel giorno, ed i giorni a seguire che furono ancora più orrendi. Una cosa tremenda mi tormentava nella testa e cioè perché Dio nonostante il bene immenso che ogni giorno cercavo di dimostrargli soprattutto attraverso piccoli gesti, continuasse a mettermi a dura prova. Le avevo prese, mi aveva quasi spappolato la faccia, perché anche la foto ? Perché un’altra umiliazione ? E allora in me incominciarono a crescere i germogli dei cattivi pensieri che si presentavano sotto forma di odio. Si lo odiavo e con tutta me stessa. Alla sera non riuscivo nemmeno a salutarlo, appena sentivo suonare alla porta, mi alzavo da tavola per rifugiarmi nella mia cameretta. Mia madre ovviamente non voleva, mi ripeteva è sempre tuo padre, e se tu evitassi di rispondergli a tono forse potresti instaurare un rapporto diverso, come quello che ha con tua sorella. No, niente compromessi mamma, io non ho fatto nulla, non posso stare zitta, non riesco a controllare il mio istinto di fronte alle ingiustizie, e lei col volto triste, aggiungeva, bambina mia quanto mi dispiace, lo so che lo fai anche per difendermi, ma dobbiamo accettarlo per quello che è. No la rassegnazione non fa parte del mio carattere, io sono quella che sono, ma non merito le botte. Non esco con i ragazzi, non mi drogo, non fumo, ho solo un’amica con la quale ogni tanto vado al cinema, perché devo vivere la mia adolescenza come una tortura ? Perché l’hai sposato mamma ? E perché non lo lasci ? Lui adesso fa l’agnellino, ma ancora per poco, poi ricomincerà a picchiarmi come al solito, ed ho paura, tanta paura. Una cosa sola chiedo a Dio ovvero di smettere di avere paura. Voglio vivere mamma, voglio alzarmi alla mattina con il cuore leggero e cercare di affrontare la vita con serenità, ma per me tutto è complicato, come una montagna enorme da scalare. Perché cosa ho fatto di male ? Nulla bambina mia, nulla. Per dimenticare i dispiaceri, spesso mi rifugiavo nel cibo, soprattutto nei dolci, e così in poco tempo presi parecchi chili tanto da sfiorare l’obesità. Mi innamoravo di ragazzi con la speranza che mi portassero una sera a vedere la luna, ma puntualmente subivo delusioni, in pratica non mi filava nessuno. Oltre che dentro le mura di casa la mia vita era orrenda anche fuori. Un vero disastro. Poi arrivò il giorno del ginocchio. Il secondo episodio. Era il giorno della festa della mamma. Ero seduta sul divano. Mio padre entrò in sala e con tono arrogante mi disse, vattene in un altro posto, li non ci puoi stare. Ma come papà non posso stare neanche seduta sul divano ? E lui di rimando no perché lo rovini e poi dov’è tua madre ? Io con un filo di voce ancora incredula per il rimprovero assurdo appena subito, gli risposi è andata da sua madre. Lui mi fissò con due occhi colmi di rabbia e borbottò che doveva andare da sua madre... ed io subito lo ripresi lasciala in pace, ha tutti i diritti di andare da sua madre, vacci tu dalla nonna... non ci vide più... con violenza mi sferrò con gli zoccoli un calcione proprio sotto il ginocchio... in un attimo diventò gonfio come una cipolla... Ancora una volta... ma questa volta non si spaventò anzi, mi disse con soddisfazione è quello che ti meriti, perché non puoi sempre rispondermi a tono. Io non avevo fiato... il dolore era immenso. Mia madre appena rincasò mi portò al pronto soccorso. Mi vedo ancora li seduta sul lettino... un’infermiera molto gentile mi fece la medicazione, ma non mi chiese nulla, come se sapesse già tutto. Dissi soltanto che era stato mio padre a farmi tutto questo, ma non esposi denuncia. Ancora adesso quando mi tocco “quel” ginocchio, sento il gonfiore sotto le mani ed il sangue indurito... Basta... dissi a mia madre... o lo lasci... o io me ne vado...ma non sapevo dove andare...avevo solo 17 anni... non avevo ancora finito le scuole...
Mi picchiava persino con la cinghia, oppure, mi costringeva a stare in ginocchio con le braccia alzate.
Una mattina non volevo bere il latte.
Avrò avuto solo 7/8 anni. Ebbene prese la tazza del latte, e con una violenza inaudita, me lo fece bere, fino a strozzarmi.
Un bel giorno i miei genitori si separarono.
Dopo che mia madre si decise a lasciare mio padre, entrai in un vortice nero, dal quale ne sono uscita solo due anni fa, grazie ad un medico eccezionale, che mi ha capita e continua a farlo tuttora. Mi hanno aiutata molto anche gli antidepressivi e qui devo aprire una parentesi a favore dei farmaci. Non è assolutamente vero che creano dipendenza e che ti rincoglioniscono. Se presi con le dovute precauzioni aiutano veramente a liberarti dal male di vivere. Certo ci devi mettere soprattutto del tuo... ed io credo di averlo fatto. Ero sull’orlo del suicidio... e dopo tanto dolore, tante lacrime versate, mi sono detta se sono al mondo una ragione deve pur esserci, e la ragione è che la vita è un dono prezioso che va coltivato ogni giorno con amore, ed io non ho nessuna intenzione di sprecarlo. L’ho capito durante la malattia del mio papà.. Subì una metamorfosi incredibile, tanto da diventare un’altra persona. Ricordo che tutte le mattine prima di andare al lavoro veniva a casa a prendere il caffè assieme a mia madre. Ricordo che non alzava più le mani. Ricordo i suoi sensi di colpa. Ricordo l’ultimo Natale trascorso assieme... io, mia madre, mia sorella, mio nipote e mio cognato seduti a tavola, e lui di là nel letto a piangere a causa del dolore che ogni giorno lo logorava sempre più. Ricordo la mia mamma... che si è buttata tutto dietro alle spalle, per assisterlo fino all’ultimo respiro. Ricordo le sue mani che stringevano le mie... Ho perdonato tutto cari amici... Anche se tutte le volte che sento il pianto di un bimbo, vedo davanti ai miei occhi quei momenti terribili.
Vedo mio padre picchiarmi, picchiare la mia mamma, il sangue sulla mia pelle, i morsi, le sberle, i calci i lividi, di tutto...ma se vi ho raccontato questa piccola parte della mia vita, è per farvi capire, che le persone possono cambiare, in meglio.
Mio padre che ora è in cielo, ha capito i suoi errori, li ha pagati, ed io sono orgogliosa di Lui.
Gli voglio molto bene.
Chiara
1 aprile 2010 - Milano
Categoria: Vita